Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno"

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La religione non è innocente

di Maria Mantello

 

La religione non è innocente, perché facendo dell’essere umano un dannato da salvare, lo rende bisognoso di quel soccorso straordinario che si otterrebbe grazie ad una Chiesa depositaria ed interprete della salvezza: “extra ecclesiam nulla salus”.

La religione non è innocente, perché ha bisogno della sottomissione degli esseri umani, che imperfetti e peccatori devono affidarsi ai gendarmi dell’anima, che dettano i precetti a cui l’anima, già tutta descritta e prescritta, deve obbedire. In nome di questo esclusivo ruolo di controllo dell’anima, la Chiesa vuole una totale libertà d’azione, e i finanziamenti statali per esercitarla.

Wojtyla ripeteva: “Difendendo la propria libertà la Chiesa difende la persona – che deve obbedire piuttosto a Dio che agli uomini”; “non si può derivare una piena neutralità dello Stato quanto ai valori”. E Ratzinger, ancora prefetto della fede dichiarava: “Lo Stato deve riconoscere che una struttura di fondo di valori cristianamente fondati è il presupposto della sua tenuta”. Affermazioni, che ritornano divenuto papa: “la Chiesa ha il dovere di proclamare con fermezza la verità sull'uomo e sul suo destino”.

Il destino dell’uomo, sarebbe tutto nella fede. Solo in questo modo si realizzerebbe pienamente l’umanità di ciascun individuo. E in questa prospettiva, si pretende uno Stato tutore di principi morali cattolici, che costituirebbero i valori di fondo, depositati al momento della mitica creazione, da un mitico dio in una mitica anima. Assolutizzata questa relazione di enunciati (dio –anima) non ci sarebbe umanità al di fuori di essa. Essere umano sarebbe solo il credente!

Dall’idea di anima, assunta come ipostasi, deriverebbe ogni individuo, che programmato secondo l’obbedienza a quell’idea, non sarebbe altro che un replicante, un clone di moduli catechistici. Una presunta coscienza mitica, allora, domina la storica coscienza biologica. La coscienza non è una fonte autonoma ed esclusiva per decidere ciò che è buono e ciò che è cattivo, – scriveva Wojtyla-  invece in essa è inscritto profondamente un principio di obbedienza”. Insomma la mitica anima sarebbe obbediente all’essenza inscritta in essa dal mitico creatore dell’ideologia cattolica. “la coscienza –come ripete l’attuale papa Ratzinger- è la voce di Dio dentro di noi. Con questo concetto viene stabilito il carattere assoluta­mente inviolabile della coscienza, la quale verrebbe a trovarsi al disopra di qualsiasi legge umana”. Il che significa che le leggi dello Stato devono essere espressione di quelle divine. O meglio di quelle che i chierici stabiliscono essere tali. Ma l’aver fatto dell’anima un’essenza non è la prova del suo esistere. L’essenza stessa è un’idea, una credenza, un enunciato. Elaborare un’idea, ed assolutissarla, non è garanzia della sua esistenza, neppure per il presente, figuriamoci per l’eternità: “L’esistenza non è un predicato inerente all’essenza”. La morte di dio –derivati compresi- sta già tutta in questo enunciato, che posto da Ockam, è sviluppato pienamente nel settecento da Hume e poi da Kant.

Allora, chi ancora oggi pretende di porre come inerente all’anima una costruzione di modelli comportamentali, per trasformarli in assoluti ed eterni al pari dell’idea che li dovrebbe garantire, fa di una connessione linguistica di definizioni un atto di fede. Fatto rispettabilissimo, se questi atti di fede rimangono nella sfera privata! Ma quando queste credenze pretendono di essere poste ad ispirazione della legislazione che regola la civile convivenza democratica, credo che qualche problema per la stessa democrazia nasca. Del resto, sempre in nome della salvaguardia dell’anima (questa volta islamica) c’è anche chi oggi nel nostro paese chiede ed ottiene la statalizzazione di proprie scuole che educhino alla superiorità della propria legge divina: la coranica, che tanto libertaria nei confronti degli individui, soprattutto se donne, non sembra.

Allora, forse, sarebbe più proficuo lasciare da parte gli assoluti delle dogmatiche interpretazioni degli infallibili Vicari delle Religioni del cielo, per discutere i comportamenti, riportandoli nell’ambito verificabile della loro maggiore o minore bontà, per gli effetti che producono. In termini di laicità questo significa che l’unico principio su cui costruire la cittadinanza è il diritto dovere dell’individuo a determinare se stesso in modo responsabile e nel riconoscimento dello stesso diritto dovere ai suoi simili. Non esistono allora principi assoluti che ci animano, ma diverse prospettive, inevitabilmente legate a variabili: le circostanze oggettive in cui pensiamo ed agiamo.

Allora, chi vorrebbe ridurre la laicità ad un grande contenitore di tutte le appartenenze etnico-religiose, deve sapere che sta preparando la strada al conflitto etnico-religioso; alla vittoria dell’assolutismo, del confessionalismo più forte. Nel nostro occidente è una storia già vista. Ed è stata una tragedia. Una tragedia talmente grande anche per i sovrani cattolicissimi, che non a caso a Westfalia, nel 1648, si impegnarono a non dichiarare più guerre in nome della fede religiosa. Il papa, Innocenzo X, protestò. Emanò una bolla per invalidare il trattato di pace. Rimase inascoltato. Ed era la sconfitta della Controriforma.

Se la storia non è maestra di vita, certamente la sua conoscenza dovrebbe vaccinare dal non ricreare le condizioni in cui fanatismo ed integralismo prevalgano. Lo Stato democratico, allora non può stare a guardare. La prima cosa da fare è rafforzare la laicità e quindi la sua autonomia dalle religioni. Ogni chiesa, allora, deve avere diritti e doveri alla stessa stregua di qualsiasi altra associazione privata. Il che significa eliminazione dei privilegi concordatari e rispetto delle regole democratiche.  Cadrebbe la pretesa esclusivistica delle fedi di dettare regole limitative o addirittura lesive delle libertà individuali e della civile convivenza democratica. Ma sembra che questa soluzione di buon senso sia scomoda per chi sogna ancora la teocrazia.

 

Maria Mantello

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