Laicità dello stato e potere di influenza della CEI
di Gianni Ferrara
1. Ben sappiamo dove siamo nati e dove viviamo. Ben sappiamo che
fu ordito in Italia e consumato per secoli, il falso storico e politico
dalla enormità inimmaginabile, quale fu quella raggiunta con la donazione
costantiniana. Sappiamo che è da suolo italiano che si imploravano invasioni
di re stranieri perché con i loro eserciti reprimessero ogni tentativo di
costruzione unitaria di uno stato indipendente dal papato. Sappiamo anche
che l’Italia è la terra della repressione violenta di ogni dissenso dalla
dottrina dettata autoritariamente dalle gerarchie ecclesiastiche. Sappiamo
che è la terra di Campanella, di Bruno, di Galileo, della Inquisizione,
della controriforma e di Bonaiuti. Sappiamo che la sua prima Carta
costituzionale, lo Statuto albertino, avviava il processo statale unitario
del Risorgimento, proclamando, come primo suo articolo, che la ‘Religione
Cattolica, Apostolica e Romana è la sola religione dello stato’ e concedendo
sì ‘tolleranza per gli altri culti esistenti’ ma solo se ‘in conformità alle
leggi’ il cui carattere repressivo non era affatto escluso.
Ebbene, in questa stessa Italia, quando il popolo conquistò la libertà e la
sovranità ed elesse l’Assemblea costituente della Repubblica, si diede, con
questo suo organo originario ed eccelso, una Costituzione che sanciva, e
sancisce, che ‘Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio
ordine, indipendenti e sovrani’ (art. 7, primo comma). Certo, questa
Costituzione, sanciva e sancisce anche che i rapporti tra Stato e Chiesa
sono regolati dai Patti Lateranensi e che le eventuali modifiche, se non
accettate dalla Chiesa, possono essere adottate solo con legge
costituzionale (art. 7, secondo comma). Sancisce pure che le confessioni
religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i
propri statuti, se non contrastano con l’ordinamento giuridico italiano, e
che i loro rapporti con lo stato sono regolati per legge sulla base di
intese con le relative rappresentanze. (art. 8). Sancisce inoltre, per
fortuna, ma va detto, che tutti hanno diritto di manifestare liberamente il
proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione
( art. 21). Stabilisce poi che l’arte e la scienza sono libere e libero ne è
l’insegnamento, che la Repubblica detta le norme generali sull’istruzione e
istituisce scuole statali per ogni ordine e grado, che enti e privati hanno
il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza oneri per lo
stato (art. 33).
All’art. 19 la stessa Costituzione riconosce a tutti il diritto di
professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma,
individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o
in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.
E all’art. 20 esclude che il carattere ecclesiastico e il fine di religione
o di culto d’una associazione od istituzione possa essere causa di speciali
limitazioni legislative, o di speciali gravami fiscali per la sua
costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.
2. Va constatato che l’art. 7 del Concordato come rinnovato nel
1984, al comma 1, riproduce testualmente quanto stabilito dall’articolo 20
della Costituzione, così come al terzo comma di tale articolo, primo
periodo, equipara, agli effetti tributari, sia gli enti ecclesiastici aventi
fini di religione e di culto, sia le attività dirette a tali scopi, agli
enti di diritto comune aventi fini di beneficenza e di istruzione. Il che è
coerente con la disposizione dell’art. 20 della Costituzione. E, per la
verità, va detto che il secondo periodo dello stesso terzo comma
dell’articolo 7 del Concordato vigente, assoggetta invece le attività
diverse da quelle di religione e di culto, svolte dagli enti ecclesiastici,
allo stesso regime tributario previsto in via generale per tali attività.
Dal punto di vista del trattamento giuridico, specie di quello tributario,
le disposizioni costituzionali e quelle del Concordato per questi profili
rispondono al principio di non discriminazione. Non sono quindi censurabili.
Qual è il problema allora?
3. Il problema che sempre si ripropone in relazione alla
laicità-confessionalità dello stato è di fondo. A indicarlo è una formula di
una banalità sconcertante, ma di una verità incontestabile: la laicità dello
stato è questione dello stato, esclusivamente dello stato. Ricercarla,
assicurarsela, ottenerla nel rapporto con una o più confessioni religiose,
come impegno, comportamento, promessa di queste controparti, è illusorio e
deviante. Perché mai una confessione religiosa che, come tale, ha come
fondamenti i suoi assoluti, dovrebbe eluderli, dimenticarli, comprimerli,
svuotarli, frenarne la vocazione pervasiva? Per rispetto del pluralismo che
la laicità comporta, riconosce e protegge? Sconfesserebbe se stessa, si
negherebbe. Non lo si può pretendere. Perciò non bisogna credere nei
concordati, come strumenti che possono automaticamente, per virtù propria ed
intangibile, salvaguardare lo stato dalle interferenze ecclesiastiche.
Ma se la laicità dello stato è questione dello stato, solo dello stato, è
fatalmente e imprescindibilmente questione di chi lo governa. Comporta una
conquista duplice, la si consegue strappando autonomia, indipendenza,
sovranità da una Chiesa, o da più Chiese. Ma non soltanto da una o più
Chiese, anche, e forse soprattutto, strappando, ricavando, ottenendo
autonomia da una parte dei cittadini, da quella parte che, per quanto
attiene agli obiettivi da perseguire nel partecipare alla politica, non si è
resa autonoma dall’ingerenza della Chiesa. La laicità, in ultima analisi, è
una conquista della sfera politica, acquisita già o da acquisire a proprio
favore. Sfera politica che deve quindi rifiutare condomini,
compartecipazioni, concerti. Deve essere affrancata da qualunque altra
pretesa e deve essere resa disponibile per i cittadini tutti ed in via
esclusiva. Da ciascuno di essi può e deve ricevere flussi, immissioni,
contributi ma deve precludere qualunque influenza che non emerga dal suo
interno, che non sia propria della aggregazione umana eretta a stato. La
laicità dello stato, quindi, suppone ed esige la laicità della società su
cui poggia lo stato, postula una coscienza civile forte, profonda ed estesa
che fa dell’autonomia della politica la ragione dell’organizzazione
politica.
4. Valga il vero. Ogni norma costituzionale non può dispiegare la
sua efficacia se non mediante atti che, determinandone il significato, ne
specificano le forme ed i modi di applicazione, atti che sono posti in
essere da apposite istituzioni, quelle che negli stati contemporanei sono
rappresentative e si chiamano parlamenti. La sorte delle norme
costituzionali è quindi nelle mani dei legislatori sotto il controllo,
istituito dalle costituzioni contemporanee, delle corti costituzionali. Il
legislatore che abbiamo e che il popolo italiano ha voluto per la
Legislatura in corso, decidendo quale dovesse essere la maggioranza
parlamentare abilitata a governare, nell’interpretare le norme
costituzionali e quelle del Concordato si è imbattuto nell’espressione ‘e
delle attività dirette a tali scopi’ – scopi di religione e di culto - e le
ha interpretate estensivamente, molto estensivamente. Così come
estensivamente, molto estensivamente, ha interpretato ed interpreta le norme
sul potere che in una democrazia è conferito ad una maggioranza
parlamentare.
Con riferimento specifico all’interpretazione delle norme concordatarie, la
domanda da porsi allora è questa: a che cosa è dovuta un’estensione così
ampia del significato della norma da distorcerlo e dal violarlo? È possibile
che si riproduca in avvenire tale distorsione? I termini della questione
credo che siano questi. Solo se partiamo da questo episodio, comprendiamo
poi i termini generali in cui si pone il tema della laicità dello stato,
nello stadio attuale dello sviluppo della democrazia italiana.
5. Non credo di poter essere sospettato di cedimento alle sirene
del revisionismo. Votai, da deputato, contro il concordato del 1984,
motivando la mia contrarietà non soltanto alle modifiche che si
introducevano ma all’istituto concordatario in quanto tale. Non ne sono
pentito, non mi sono convertito. Ma sono convinto che nell’attuale fase
politica non è il Concordato che si incunea nell’ordinamento e lo sfalda sul
versante della laicità. Ad incrinare la laicità è un sistema che deforma la
democrazia italiana, nel suo punto più alto e cruciale. La incrina nella sua
forma e nella sua essenza rappresentativa, cioè nell’unica forma che è
rimasta della democrazia, dopo le aberrazione di quella che volle
denominarsi ‘democrazia identitaria’ frodando il sostantivo dell’espressione
e mistificandone l’aggettivo, culminando nel crimine di Auschwitz, e dopo il
fallimento della democrazia diretta, impossibile se non schiavista.
Ad incrinare la democrazia italiana è il sistema elettorale, quello che in
nome del bipolarismo coatto, attribuisce ad una frazione di elettorato, se
strategica, nel confronto tra due schieramenti, il potere decisionale di
scelta tra l’una o l’altra coalizione, con il risultato che chi perde, delle
due coalizioni, a causa di quell’altra ed enorme mistificazione che si
chiama democrazia ‘decidente’, ‘immediata’, ‘governante’, perde tutto, per
cinque anni, lasciando alla coalizione vincente un potere enorme ed il cui
esercizio può avere, ed ha, effetti addirittura irreversibili.
Va detto ora che, il potere di attribuire ad una maggioranza quel potere
enorme che può avere anche effetti irreversibili, oggi, è nelle mani del
cardinale Ruini che lo brandisce senza tema di esibirlo nei confronti di
ambedue gli schieramenti. È un potere che non credo che possa essere
considerato compatibile con una qualche idea della democrazia per tutte le
ragioni per le quali ad essa ripugna qualunque forma di potere assoluto. Va
quindi rifiutato un sistema elettorale che produce siffatti risultati e va
rifiutato recisamente.
Quella di salvaguardare il carattere laico dello stato italiano - e non
poteva essere diversamente stante la coincidenza della laicità con la
democrazia - si aggiunge quindi ad esigenze di ordine complessivo della
democrazia italiana. Per dissolvere il potere di ingerenza del cardinale
Ruini nella politica legislativa, nella pratica referendaria, nella
legislazione tributaria, si deve rifiutare la trasformazione della
rappresentanza nel suo opposto. La si deve ricondurre alla sua essenza, alla
autenticità della riproduzione al centro dello stato della pluralità, non
compressa e non contorta della composizione politica della base sociale.
Escludendo che possa tradursi in investitura, che possa trasformare la
scheda elettorale dei credenti in uno strumento di ricatto alle forze
politiche, cui offrire o negare il voto a seconda che si impegnino o non a
legiferare secondo i dettami della CEI ed in violazione dello spirito e
della lettera della Costituzione. La laicità è libertà e la libertà è quella
di tutti, è la democrazia che non ammette manipolazione, contrazioni,
mistificazioni.