Il problema Concordato
di Federico Coen
La polemica intrapresa da papa Wojtyla e riproposta dal suo successore
sulle presunte radici cristiane dell’Europa e dell’Italia e quella legata
alla vicenda del crocefisso nelle scuole, alla fecondazione assistita e così
via, rendono necessaria anche per la sinistra politica una riflessione sul
grande tema della laicità dello stato.
Quanto all’Europa, basterà ricordare che la svolta che inaugura una nuova
epoca – dopo le antiche crociate e lo scontro con l’Islam e l’ebraismo – è
quella in cui prende corpo la Chiesa imperiale che, sotto la minaccia della
rivoluzione protestante di Jan Hus, Martin Lutero e Calvino, pretende di
imporre al mondo intero e a tutta l’Europa la propria versione del
cristianesimo e il proprio potere sugli stati e su ogni istituzione civile.
È il tempo dell’Inquisizione, dei roghi agli eretici e della caccia alle
streghe. Ed è anche il tempo in cui la Chiesa di Roma cerca di allineare sul
terreno dell’obbedienza clericale, tutti gli stati europei, dalla Spagna
alla Francia all’Impero absurgico: un disegno che fallisce per merito degli
olandesi e dei britannici.
È in contrasto con l’imperialismo della Chiesa cattolica, e anche con le
tendenze autoritarie implicite anche nelle stesse confessioni protestanti,
che il pensiero laico si afferma alla fine del Settecento e si identifica
essenzialmente sul piano culturale con l’Illuminismo e sul piano politico
con la Rivoluzione francese.
Ancora più inconsistente è la tesi di una presunta radice cristiana
dell’Italia come nazione, che è in contrasto tanto con la storia italiana
considerata nel lungo periodo, quanto e ancor più con la storia del
Risorgimento. Va ricordato che non a caso i disperati tentativi clericali di
sottrarre Roma all’Italia furono fronteggiati dai vari protagonisti del
processo unitario, che appartennero tutti, dalla carboneria alla massoneria,
da Mazzini a Garibaldi, alla vasta anche se accidentata area della cultura
laica. Senza questo apporto decisivo non bastavano certo a fare l’unità
d’Italia né le manovre diplomatiche del Cavour, né le ambizioni dinastiche
di casa Savoia.
Non per caso questa tradizione laica, entrata in crisi già a opera di
Giolitti, fu travolta dal fascismo vincente, che ottenne l’appoggio della
Chiesa alle sue imprese liberticide e coloniali, prima con il famigerato
decreto del 1923 sull’obbligo del crocefisso nelle scuole poi con il
Trattato e i Concordato del 1929.
Questa condanna all’oblio della tradizione risorgimentale si traduceva
con l’abrogazione della legge 13 maggio 1871, emanata all’indomani
dell’unità. Per il resto, il Trattato del 1929 si preoccupava di assegnare
al Vaticano un indennizzo finanziario e immobiliare per ciò che gli era
stato tolto dopo la breccia di Porta Pia, ottenendo in cambio il
riconoscimento della Santa Sede della conclusione della cosiddetta
questione romana.
Molto più analitiche le disposizioni contenute nel Concordato
mussoliniano recanti una serie di esenzioni e di altri privilegi
riconosciuti al clero cattolico e ad esso soltanto. Tra questi privilegi, i
più lesivi della laicità dello stato erano quelli inerenti all’insegnamento
religioso nelle scuole e al diritto matrimoniale. Nel campo scolastico era
stabilito che “l’Italia considera fondamento dell’istruzione pubblica
l’insegnamento della religione cristiana secondo la tradizione cattolica,
che sarà impartito a mezzo di maestri e professori approvati dall’autorità
ecclesiastica” (art. 36 del Concordato). In campo matrimoniale, non solo si
davano ai parroci funzioni pubbliche nella celebrazione e registrazione del
matrimonio, ma le cause relative alla nullità del matrimonio e alla dispensa
dal matrimonio rato e non consumato – cioè la simulazione del
divorzio da parte della Chiesa – erano riservate alla competenza dei
tribunali ecclesiastici (art. 34 del Concordato fascista).
Si dovette attendere la guerra di liberazione antifascista, con il
ritorno della democrazia, per una ripresa dell’iniziativa laica che trovò,
negli anni Sessanta e Settanta, un’alternanza di battaglie vincenti e anche
di sconfitte, ma che fruttò grandi conquiste, dalla legittimazione del
divorzio a quella dell’aborto.
Questa ripresa di iniziativa laica nell’Italia repubblicana fu tuttavia
ostacolata ripetutamente dagli opportunismi di partiti intesi a ottenere
l’appoggio della Chiesa per legittimare il proprio potere. L’episodio più
grave di questa involuzione opportunistica si ebbe nella stessa Assemblea
Costituente del 1946, allorché il Partito comunista, guidato da Togliatti,
concordò con la DC di De Gasperi la costituzionalizzazione pura e semplice
dei Patti Lateranensi, nonostante il voto contrario dei socialisti e dei
repubblicani che ne proponevano la revisione.
La costituzionalizzazione dei Patti Lateranensi non impedì tuttavia la
forte ripresa di iniziativa laica che, con l’impegno prevalente del Partito
socialista, procurò la conquista del divorzio e la legittimazione
dell’aborto. Merito personale anzitutto di un personaggio troppo presto
dimenticato come Loris Fortuna. Ma merito di tutto il PSI che seppe
trascinare l’intero schieramento laico prima all’approvazione della legge
sul divorzio del 1970 e poi nella vittoria a larga maggioranza contro il
referendum abrogativo proposto dalla DC.
Si conclude, con queste coraggiose prese di posizione, la fase alta
dell’impegno laico dei socialisti. Con l’inizio degli anni Ottanta il clima
politico è sostanzialmente cambiata. Il PSI entra in un’alleanza organica
con i settori più moderati della DC, che porterà nel 1983 Craxi alla
Presidenza del Consiglio. La problematica laica tornerà allora in secondo
piano. E lo stesso Craxi andrà alla stipulazione del nuovo Concordato
soprattutto alla ricerca di un successo personale di prestigio.
Si spiega così la contraddizione fra il trionfalismo dell’annuncio e la
realtà complessiva delle norme che furono poste in essere, e soprattutto
delle leggi e dei decreti d’attuazione che furono emanati nei mesi e negli
anni successivi alla solenne stipulazione.
Non si tratta solo dell’8 per mille a vantaggio della Chiesa, che fu
stabilito con l’art. 47 della legge n. 222 del 1985, ma anche e soprattutto
della scuola, dove non solo l’obbligo dello stato italiano di organizzare
l’insegnamento religioso viene esteso a tutti gli ordini delle scuole
statali, non solo l’istituto dell’esonero resta del tutto eccezionale, non
solo resta fermo il potere assoluto dell’autorità ecclesiastica nel nominare
e nell’esonerare i docenti, ma tutto ciò viene motivato con la solenne
affermazione “che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio
storico italiano”.
C’è di più: il Dpr n. 751 del 1985 attribuisce all’autorità ecclesiastica
la competenza esclusiva di definire i programmi dell’insegnamento della
religione a tutti i livelli; ma forse il punto più basso del cedimento in
senso confessionale è quello che si ricava dal Dpr n. 539 del 1986 relativo
all’insegnamento religioso nelle scuole materne, quelle che per ovvie
ragioni stavano più a cuore al Vaticano.
Sul versante della politica, l’evento principale in cui si è espressa la
Chiesa imperiale è venuto dal Giubileo dei politici del 4-5 novembre
del 2000. Non si è trattato solo di un evento spettacolare e diplomatico
(offerta di un patrono ai politici come ad altre professioni) ma di una ben
più impegnativa affermazione di principio, a sostegno del carattere
vincolante delle tesi politiche espresse dalla Chiesa di Roma. Le parole
pronunciate dal Papa polacco il 5 novembre di quell’anno, senza suscitare
reazioni da parte dei politici presenti, non lasciano adito a dubbi: il
legislatore cristiano deve obbedire agli ordini del papa, non può
contribuire all’approvazione di leggi non conformi al disegno divino, quel
disegno divino di cui il pontefice romano è l’unico legittimo e infallibile
custode.
Particolari messaggi avevano, in quella occasione, un valore perentorio,
ed erano proprio i più retrivi: privilegi ulteriori per la scuola
confessionale, con la svalutazione esplicita della scuola pubblica in quanto
colpevolmente pluralista; rifiuto di ogni forma di contraccezione compresa
la pillola del giorno dopo, con una disputa bizantina sul radicamento
dell’embrione nell’utero; rifiuto della fecondazione assistita; rifiuto
dell’eutanasia per i malati terminali; ostracismo agli omosessuali; anatemi
contro il divorzio, e così via. Tutti temi che fuori d’Italia sono
affrontati laicamente ed empiricamente, mentre in Italia sono tenuti
artificiosamente caldi per la costante ingerenza della Chiesa nei dibattiti
parlamentari. Una ingerenza che sembra purtroppo destinata a durare, dal
momento che Prodi si dice oggi contrario a discutere il Concordato. E la
proposta di Boselli e Pannella di una semplice revisione del Concordato ha
suscitato uno scandalo anche tra due campioni dell’opportunismo politico
come D’Alema e Amato.
Fin qui abbiamo visto quanto ci è costato e quanto ci costa, sul piano
culturale, il regime concordatario come fondamento dell’involuzione
clericale nella politica italiana. Ma se vogliamo chiederci quanto questa
involuzione ci costa sul terreno economico in senso proprio, basterà
ricordare, oltre all’introduzione già ricordata dell’8 per mille sul
reddito, che di fatto è andata quasi per intero alla Chiesa cattolica, anche
l’esonero dall’ICI, esteso di recente alle stesse attività commerciali
gestite dal Vaticano e sue dipendenze. E infine ricordiamo le immense
proprietà immobiliari appartenenti direttamente o meno alla Chiesa
cattolica, che soprattutto a Roma, ma non solo, occupano vastissimi spazi e
sono esonerati dalle imposte immobiliari.
Per chi come me vive a Trastevere basta ricordare l’immenso edificio del
Vicariato, gli immobili assegnati gratuitamente alla Comunità di Sant’Egidio,
la vastissima proprietà annessa alla chiesa di Santa Rufina, e così via. Che
cosa abbia a che fare tutto questo con la religione, non si comprende. Ma
alto è il prezzo che a Roma e altrove noi tutti paghiamo alla cancellazione
della laicità dello stato. Quella laicità che noi siamo qui per difendere
con tutta la nostra fierezza.