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					Il matematico impertinente, 
					Milano, Longanesi & C, 2005, pp. 347, € 16,00
					
					
					
					 
					
					Recensione 
					di Maria Mantello 
					
					Quando si parla di Verità con la V maiuscola, 
					molti sono portati ad associarla a soprannaturali 
					rivelazioni. Ad un dio unico ed assoluto. Ma, come noto, il 
					fatto di pensare una cosa non è la dimostrazione della sua 
					esistenza. Vale per i cavalli alati. Vale per Dio. Anche se 
					lo si ipostatizza come il più vero e il più universale. 
					Anche quando lo si trasforma in dogma e lo si impone con 
					persecuzioni e stragi di innocenti, “colpevoli” di pensarla 
					diversamente dal dio unico dei chierici: “come potevo 
					immaginare che le teste calde avrebbero cercato di imporre 
					le mie parole urbi et orbi?”; “qualcuno pretende 
					addirittura di esserne il vicario in terra, con gran 
					confusione dei poveri di spirito”; “il cristianesimo non è 
					un’invenzione mia, ma di Paolo di Tarso”; “sono i sepolcri 
					imbiancati che indossano la veste nera, a chiamare “morale” 
					la perversione predicata da Paolo”; “io ho chiesto solo che 
					mi seguissero, non che mi raffigurassero o mi adorassero: 
					ero l’Agnello di Dio, e mi hanno trasformato in un vitello 
					d’oro”. Fa dire Odifreddi a Gesù in una delle interviste 
					immaginarie del suo libro. Ed è solo un assaggio delle sue 
					“impertinenze”, che gli derivano dal fatto di non essere un 
					coscritto di inibitrici appartenenze identitarie. 
					Piergiorgio Odifreddi è un pensatore libero. E come tale non 
					rinuncia mai all’esercizio razionale del dubbio, 
					sottoponendo al tribunale della ragione il confessionalismo 
					e le sue alleanze col potere politico, nell’era che 
					definisce delle «tre B »: Bush, Berlusconi e BenedettoXVI, 
					“che vorrebbero imporre all'universo mondo moderno il loro 
					provincialissimo capitalismo e il loro antiquato 
					cristianesimo”, alimentando la speranza nel miracolo e nella 
					“grandeur” come compensazione ideologica alle frustrazioni 
					psichiche e sociali. L’impertinenza diviene di contro, come 
					promesso nel titolo, una necessaria strategia metodologica. 
					Se non ci si pone con mente antireverenziale di fronte alla 
					fede (alle fedi) è assai difficile, infatti, liberarsi dalla 
					rassicurante protezione dell’idea di un padre eterno, ma 
					padrone delle coscienze. Come dichiara allora l’autore: 
					“l’impertinenza è  un buon modo, e a volte l’unico 
					possibile, di affrontare i problemi in maniera pertinente”. 
					E magari, scoprire come  “un minimo di logica basti anche 
					per farsi due risate delle superbe pretese di dedurre la 
					soprannaturalità di un evento dall’ignoranza delle sue 
					cause”. 
					
					Alle ipostatizzazioni della “metafisica 
					malata” (per dirla con Kant), il nostro matematico 
					preferisce infatti le scoperte scientifiche, perché si 
					basano sulle sensate esperienze e sulle dimostrazioni 
					necessarie. Senza verifica empirica non c’è conoscenza. 
					Senza realtà concreta non c’è materia d’indagine 
					scientifica. Il resto sono chiacchiere. Relativissime 
					supposizioni  fideistiche. Solo la conoscenza 
					scientificamente fondata può aspirare al rango di Verità. 
					Ecco allora che, se c’è un primato nell’assoluto, forse 
					questo spetta alla Scienza. L’unica ad essere di fatto anche 
					universale, visto che si avvale di un codice universale. 
					Quello della matematica, dove due più due fa sempre quattro, 
					e non sono permesse suggestioni allucinatorie di supposte 
					credenze che promettono la felicità dopo la morte. 
					
					
					“Sui numeri e sugli insiemi si basano la 
					scienza e la tecnologia, che danno da mangiare agli affamati 
					e da bere agli assetati. Chi ha orecchie per intendere 
					intenda. E chi non ce l’ha pianga se stesso”. Avverte 
					l’autore, che ha l’irriverenza dei grandi illuministi, ma 
					che sa di coinvolgere il lettore nella desacralizzazione dei 
					simboli del potere. Come quando svela il significato 
					originario di cristiano: “sarà impietoso ricordarlo, ma 
					idiota e cretino significavano in origine 
					privato e credente”. Oppure sottolinea le 
					analogie tra magia e religione: “Esorcisti, demonologi, 
					medium, maghi, parapsicologi, chiaroveggenti, sensitivi, 
					cartomanti, guaritori, astrologi e compagnia bella 
					contendono dunque ai preti il monopolio dello sfruttamento 
					della stupidità e della creduloneria umana, e tutti insieme 
					competono per spartirsi i lauti guadagni di un mercato 
					florido e ricco”. O quando si sofferma sulle storie del 
					Cristo per evidenziarne similitudini ed analogie con ben 
					altri sedici miti di morti e risorti precisando: “nessun 
					adulto sano di mente crede alle favole su Gesù bambino, ma 
					non sono soltanto i bambini a credere alle storie su Gesù 
					adulto” (...) “per il credente tutto fa brodo. E per la 
					Chiesa anche, soprattutto quando serve a catturare gli 
					allocchi. Come infatti confessò candidamente papa Leone X al 
					cardinal Bembo: Historia docuit quantum nos iuvasse illa 
					de Cristo fabula (la storia ci insegna quanto ci abbia 
					fruttato quella favola di Cristo)”. Oppure quando fa  due 
					conti sui supposti miracolati di Lourdes, e dati alla mano 
					evidenzia che si tratta di “una percentuale di uno su 
					300.000, nettamente inferiore a quella delle remissioni 
					spontanee delle malattie croniche, cancro compreso, che è di 
					circa uno su 10.000. Detto altrimenti, i malati guariscono 
					miracolosamente, cioè inspiegabilmente, trenta volte di più 
					se stanno a casa che se vanno a Lourdes”. Come si vede la 
					matematica è davvero impertinente. Perché non è un’opinione, 
					ovvero, non ha niente a che fare con la rassicurante 
					creduloneria, che, come si sa, non cerca verifiche, ma 
					consolazione. Finché c’è paura e c’è speranza, ha buon gioco 
					la religione, diceva il filosofo illuminista David Hume.
					
					
					Ma scienza e religione possono convivere? E’ 
					un falso problema. Visto che la scienza inizia dove finisce 
					la fede. Matematico! Anzi “elementare Watson”: “il mondo è 
					grande abbastanza per noi. Non c’è bisogno di ricorrere a 
					nessun fantasma”. Le nostre paure, le nostre speranze 
					possono trovare una qualche soluzione degna nella ricerca 
					scientifica. Perché dolore e sofferenza non siano più 
					considerate il prodotto di mitiche condanne ancestrali.
					
					
					Odifreddi è convinto: 
					"se la matematica e la 
					scienza prendessero il posto della religione e della 
					superstizione nelle scuole e nei media, il mondo 
					diventerebbe un luogo più sensato". E poiché il dare senso 
					al mondo è frutto dell’impegno degli umani nel mondo, 
					epistemologia ed etica devono necessariamente coniugarsi. Le 
					conquiste cognitive devono trasformarsi in azione. E’ una 
					sveglia per tutti. Ma in particolare per i sonnacchiosi 
					intellettuali della nostra epoca, che spesso camuffano o 
					censurano le loro acquisizioni intellettuali per pavidità ed 
					opportunismo. “Il matematico impertinente” chiama allora al 
					senso di responsabilità. Non a caso, all’abiura di Galilei 
					preferisce il coraggio di Giordano Bruno. E come il Nolano, 
					Odifreddi mette a nudo lo stato asinino della 
					fideistica obbedienza, sottolineando 
					pure 
					quanta responsabilità abbia 
					l’educazione religiosa nel produrre personalità tiranniche. 
					Così nell’intervista immaginaria ad  Hitler è rimarcato il 
					nesso tra nazismo e cristianesimo, quando  per  contrappasso 
					è messa in bocca al dittatore una affermazione del premio 
					nobel per la pace, Elie Wiesel: “tutti gli assassini 
					dell’Olocausto erano cristiani, e il sistema nazista non 
					comparve dal nulla, ma ebbe profonde radici in una 
					tradizione inseparabile dal passato dell’Europa cristiana”.
					
					
					Verità scomode, dunque, che spaziando dalla 
					Storia all’attualità, dalla politica alla filosofia, dalla 
					letteratura all’arte, dai teoremi matematici alle grandi 
					scoperte scientifiche tessono l’elogio della ragione. E 
					proprio la ragione costituisce il filo conduttore dei 
					diversi saggi. Una ragione che trova la sacralità nella 
					natura e nell’umanità. In questa prospettiva, si potrebbe 
					dire, che il libro ha una sua profonda religiosità, intesa 
					come fiducia nelle possibilità di stabilire legami umani, 
					nel recuperare la dimensione io-mondo in contrapposizione 
					alle favole escatologiche celesti. “Ci sono due tipi di 
					persone al mondo: quelle che hanno credenze mistiche, e 
					quelle che non le hanno. Queste ultime credono che la vita 
					sia tutto ciò che abbiamo, e che dobbiamo godercela e 
					aiutare gli altri a godersela. Gli altri pensano che la vita 
					futura sia più importante di quella presente, e temo che 
					faranno saltare in aria il mondo”.
					
					Prima che ciò possa accadere, “il matematico 
					impertinente” è un buon viatico contro il sonno della 
					ragione. Perché con i suoi affascinanti guizzi di 
					intelligenza ci esorta a “non essere né clown, né cloni”.