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Margherita Hack, LIBERA SCIENZA
IN LIBERO STATO, Rizzoli, 2010,
pp.163,
€ 16.50
Non
solo siamo fra gli ultimi in Europa
nelle materie scientifiche, ma quando
riusciamo a formare un vero genio in
genere gli mettiamo in mano una valigia
e lo mandiamo a far del bene all'estero.
Perché in Italia la ricerca proprio non
vuole funzionare? Per due motivi,
entrambi ben radicati nella storia e nel
costume nazionali.
Da
un lato scontiamo una cronica quanto
inspiegabile paura della scienza e delle
sue potenzialità, e dal caso Galileo
alla battaglia contro l'analisi
preimpianto degli embrioni molta
responsabilità spetta alla Chiesa e al
suo vizio di dettare legge in un Paese
che pure si professa laico. Dall'altro
lato ci si mette lo Stato che da destra
a sinistra taglia i fondi
all'università, spreca le scarse
risorse, ingarbuglia le carriere
accademiche senza peraltro riuscire a
sottrarle ai "baroni". Così, mentre da
ogni parte si decanta l'importanza
dell'innovazione per la crescita del
Paese, nei fatti chi dovrebbe produrla
viene ostacolato con ogni mezzo:
concorsi macchinosi, precariato a vita,
stipendi da fame e, perché no, obiezione
di coscienza. Storie di ordinaria
contraddizione in un sistema che cola a
picco. Margherita Hack dedica questo
libro all'analisi delle condizioni di
una ricerca che non ha più né Stato né
Chiesa su cui contare. Passa al vaglio
le riforme che si sono succedute sotto
quattro governi, denuncia gli errori
ricorrenti e le troppe incongruenze,
mette in luce gli esempi positivi
incontrati nel corso della sua carriera
e infine propone qualche idea.
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