Isaia Sales, I PRETI E I MAFIOSI,
Storia dei rapporti tra mafia
e Chiesa cattolica, Baldini
Castoldi Dalai, pp. 368, € 18.50
«Chi
l’ha detto che a Corleone esiste la
mafia? Non è affatto vero. Tant’è che
alla processione del Venerdì Santo, di
Gesù morto, partecipa tutto il paese.
Come si fa a spargere una calunnia del
genere?».
Sono
queste le parole di un prete pronunciate
poco dopo la morte del generale Dalla
Chiesa ed è particolarmente strano che
un timorato di Dio, che vive in
una delle province palermitane più note,
non solo non si sia accorto che la mafia
esista, ma che sia essa stessa a
finanziare la processione di Gesù
morto. È solo uno tra i tanti
circostanziati esempi che Isaia Sales ci
presenta nel suo libro, I preti e i
mafiosi, dove evidenzia come i
legami tra mafia e Chiesa
cattolica, effetto di secolari intrecci
di interessi economici e politici,
sembrano alimentarsi in un certo humus
di “sentire ideologico” comune.
L’autore
analizza da un punto di vista
socio-culturale il ruolo che gli
apparati ecclesiastici meridionali hanno
avuto nel corso dello sviluppo di una
coscienza mafiosa permeata di principi
cattolici.
Ne risultano strani paradossi: un
assassino mafioso riceve la Comunione
che è negata a un divorziato o a un
abortista; parrocchie che sembrano
diventare zone franche per uomini come
Giovanni Brusca, noto per aver sciolto
nell’acido il figlio di Santo Di Matteo
e per aver premuto il pulsante
nell’attentato dinamitardo a Falcone;
“picciotti”, che fieri dichiarano di
essere cresimati e di aver frequentato
l’Azione Cattolica. Può accadere allora
che un prete di Palermo affermi: «Tra un
medico abortista senza scrupoli e un
mafioso che differenza c’è? Dinanzi a un
Michele Greco che discuteva della vita
degli altri come se fossero caramelle e
una signora Bonino che ha esaltato
l’aborto come quintessenza della
libertà, ma chi è più criminale?».
La
commistione tra politica e fede,
sostiene Sales, è il risultato di
una concezione antistatalista, che
certamente
proviene dal sincretismo del familismo
cattolico e di quello mafioso, ma che ha
radici più antiche: prima nel feudo e
poi nelle parrocchie.
Il
libro di Isaia Sales, allora, non è solo
una ricostruzione delle pericolose
alleanze tra clero e mafia, ma anche una
preziosa
analisi storica di come la mafia abbia
trovato proprio nel particolarismo del
Meridione d’Italia le migliori
condizioni socio-culturali per
attecchire e svilupparsi. Su questo
particolarismo sono cresciuti i
gruppi-clan, che con la loro rete di
connivenze e dipendenze gerarchiche
costituiscono un baluardo reazionario
formidabile per mantenere l’ordine
sociale esistente.
E
ancora - nota
l’autore - una religione che fa della
carità un atto devozionale, possiamo
considerarla del tutto estranea a quella
mentalità della ricerca del “padrino”
per risolvere i problemi individuali,
soprattutto quando è la stessa
Chiesa ad accettare e benedire le
opere di carità dei mafiosi,
specialmente se vanno a vantaggio dei
beni materiali e spirituali
ecclesiastici?
Certamente,
«la religiosità dei mafiosi svela l’uso
della fede cattolica come fattore di
identità e legittimazione sociale più
che come espressione di una sofferta
interiorità». Ma la Chiesa, nonostante
fosse consapevole della violenza
mafiosa, ha deciso di non prendere una
posizione chiara contro la mafia. E se
con gli omicidi mafiosi di don Pino
Puglisi, fatto assassinare a Brancaccio
dai fratelli Graviano, e di don Peppe
Diana, ucciso a Casal di Principe dai
sicari di Sandokan, è pur emersa una
coscienza nuova, questa resta un
eccezione. La condanna totale, netta e
inequivocabile della mafia non c’è mai
stata. È questo il più grande rimprovero
che Isaia Sales muove alla Chiesa
cattolica, e lo fa con le parola di
Peppino Impastato: «Se la Chiesa avesse
praticato la rottura, radicalmente e
permanentemente, e avesse messo lo
stesso impegno nel rifiuto della
violenza, nella denuncia della mafia,
che ha messo, per esempio, nella
minuziosa classificazione delle eresie e
dei comportamenti sessuali, non saremmo
al punto in cui siamo, almeno sotto il
profilo del consenso alla mafia».
Federica Stocchi