Joseph Ratzinger Benedetto XVI ,
Gesù di Nazaret, Libreria Editrice
Vaticana, pp. 380, € 20
di Paolo Flores d’Arcais *
Gesù non era cristiano.
Era un ebreo osservante, che mai avrebbe
immaginato di dar vita a una nuova religione
e meno che mai di fondare una “Chiesa”. Non
si è mai sognato di proclamarsi il Messia, e
se qualcuno degli apostoli ha ipotizzato che
fosse “Cristo”, lo ha fulminato di anatema.
All’idea di essere considerato addirittura
“Dio vero da Dio vero, generato, non creato,
della stessa sostanza del Padre”, secondo il
“Credo” di Nicea, sarebbe stato preso da
indicibile orrore.
Gesù
era un profeta ebreo itinerante, esorcista e
guaritore, che annunciava l’“euangelion”
apocalittico del “Regno” incombente per
intervento divino. Ha predicato quasi
esclusivamente in Galilea, per pochi mesi se
stiamo ai tre sinottici, al culmine dei
quali, recatosi a Gerusalemme, avendo
provocato qualche disordine, viene
condannato alla crocifissione per sedizione.
Storicamente, una figura di minore
importanza rispetto a Giovanni che
battezzava sulle rive del Giordano, e ad
altri predicatori apocalittici del suo
tempo. Come ha scritto il maggior biblista
cattolico italiano del dopoguerra “la
vicenda di Gesù, al di fuori di quanti a lui
si richiamano, è stata, in realtà, di poca o
nessuna rilevanza politica e religiosa: una
delle non poche presenze scomode in una
regione periferica dell’impero romano, messe
prontamente a tacere in modo violento
dall’autorità romana del posto con la
collaborazione, più o meno decisiva, di capi
giudaici” [Giuseppe Barbaglio, Gesù ebreo di
Galilea, Bologna 2002, p.39].
Alcune smaccate falsità
Il Gesù di cui parla Joseph Ratzinger nel
suo libro appena uscito (Gesù di Nazaret –
Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla
risurrezione, che segue il primo volume
pubblicato nel 2007) non è invece Gesù,
bensì il Cristo dogmatizzato dai Concili di
Nicea (325) e Calcedonia (451), dominati e
decisi dagli imperatori di Roma, che con il
Gesù della storia nulla ha a che fare e anzi
contraddice e nega sotto ogni aspetto
essenziale.
Nulla di scandaloso, sia chiaro, se un Papa
di Santa Romana Chiesa si mette a fare opera
di teologia o di devozione intorno alla
figura del Cristo. In fondo è il suo
mestiere. Ma Joseph Ratzinger pretende di
fare anche lo storico, di “giungere anche
alla certezza della figura veramente storica
di Gesù” (p. 9), perché “non possiamo
dispensarci dall’affrontare la questione
della reale storicità degli avvenimenti
essenziali. Il messaggio neotestamentario
non è soltanto un’idea; per esso è
determinante proprio l’essere accaduto nella
storia reale di questo mondo” (p. 119).
Spiace dirlo, ma per tener fede alla
spericolata pretesa di dimostrare la
continuità tra Gesù di Galilea e il Cristo
di Nicea, il professor Joseph Ratzinger è
costretto a prodursi in quelle che sotto il
profilo storico sono vere e proprie falsità,
talvolta incredibilmente smaccate. Dato il
poco spazio potrò esaminarne solo un paio.
Il Papa sostiene che le primissime comunità
che si formano intorno alla fede che Gesù
sia risorto, malgrado “tutte le discussioni
difficili su ciò che dei costumi giudaici
avrebbe dovuto essere conservato e
dichiarato obbligatorio anche per i pagani”
(sta facendo riferimento alla durissima
controversia che contrappone Paolo a
Pietro), su un punto sono unanimi: “con la
croce di Cristo l’epoca dei sacrifici era
giunto al termine” (p. 58). La cosa gli sta
particolarmente a cuore e vi insiste più
volte: “tanto più sorprendente è il fatto
che su una cosa – come si è detto – ci fosse
concordiafindall’inizio:isacrifici del
tempio – il centro cultuale della Torà –
erano superati” (p. 257).
Questa affermazione è incontrovertibilmente
falsa. Prendiamo gli “Atti degli apostoli”
24, 17: “ora, dopo molti anni, sono venuto a
portare elemosine al mio popolo e per
offrire sacrifici”. PER OFFRIRE SACRIFICI.
Chi parla è l’apostolo Paolo, a Cesarea,
dove è stato portato prigioniero per essere
interrogato personalmente dal governatore
Felice. Del resto, non potrebbe che essere
così. L’offerta di sacrifici è il cuore
della pratica religiosa ebraica, almeno
quanto le preghiere. Per questo da tutta la
Palestina e anche dalla diaspora–affrontando
i rischi di lunghi viaggi – si viene in
pellegrinaggio a Gerusalemme: il Tempio è il
luogo per eccellenza dei sacrifici. Scannare
e bruciare gli animali costituisce “il
tratto più importante della vita liturgica
del Tempio”, anche perché il sacrificio è
cruciale come offerta di purificazione di
peccati e colpe (voce Sacrifices and
offerings in Eerdmans, Dictionary of the
Bible, forse il più accreditato su scala
internazionale).
Del resto gli “Atti” (che poi sono la
seconda parte del vangelo di Luca) avevano
riferito che “anche un gran numero di
sacerdoti aderiva alla fede” (6,7), e la
funzione peculiare del sacerdote è proprio
quello di sgozzare e bruciare gli animali
sull’altare.
La ricerca neutralizzata
Altrettanto sconcertante il rifiuto di
Ratzinger (in quanto storico) di prendere
atto che la prima generazione dei
“cristiani” aspettava il compiersi dei tempi
e l’avvento apocalittico del Regno nel corso
della sua stessa esistenza . Anche qui la
testimonianza di Paolo è di cristallina
evidenza. Nella prima lettera ai
Tessalonicesi, il testo più antico del Nuovo
Testamento (probabilmente del 49) scrive :
“Noi che viviamo e saremo ancora in vita per
la venuta del Signore” (4,15), segue la
descrizione di quanto avverrà, voce di
arcangelo, squillare della tromba di Dio, il
Signore che discende dal cielo, e la
sequenza delle risurrezioni e del rapimento
comune dei fedeli tra le nuvole.
Il vangelo di Marco, che è scritto a
distanza di una generazione (circa il 70,
quasi certamente subito dopo la distruzione
del Tempio ad opera di Tito) tramanda la
stessa convinzione già annunciata da Gesù:
“In verità vi dico, non passerà questa
generazione prima che tutte queste cose
siano avvenute (13,30). Tralascio le
ulteriori testimonianze presenti in Paolo.
La definitiva prova “a contrario” è data
dalla seconda lettera ai Tessalonicesi, che
smentirebbe la prima perché invita a: “non
lasciarvi così facilmente confondere e
turbare... da qualche lettera fatta passare
come nostra, quasi che il giorno del Signore
sia imminente ” (2,2). Ma mentre 1
Tessalonicesi costituisce la prima delle
sette lettere certamente autentiche, 2
Tessalonicesi costituisce una delle “pseudoepigrafiche”,
scritte da esponenti paolini della
successiva generazione, quando le comunità
devono costruirsi una giustificazione
teologica per la Parusia che tarda a venire.
La risurrezione, l’evento capitale
Si potrebbe continuare a lungo, purtroppo,
tali e tante sono le acrobazie
interpretative con cui Ratzinger cerca di
neutralizzare due secoli e passa di ricerca
storiografica che sulla incompatibilità tra
Gesù di Galilea e il Cristo di Nicea hanno
condotto ormai a risultati acquisiti.
Le aspre divisioni che ancora sussistono tra
chi vede Gesù come uno “zelota”
rivoluzionario oppure, sul versante opposto,
come un semplice maestro di saggezza, e
tutta la gamma delle posizioni intermedie
che comunque contrastano con il “mainstream”
del Gesù predicatore e guaritore di un
incombente “fine dei tempi”, non mettono mai
in discussione, infatti, ciò che è
acquisizione comune: Gesù non si proclamò
mai Figlio di Dio nel senso della “Seconda
Persona”, non fondò nessuna Chiesa (ne
nacquero moltissime, ciascuna con il suo
“vangelo” spesso incompatibile con quelli
concorrenti, e la tradizione che per prima
scolorì fu proprio quella della comunità
originaria di Gerusalemme – che sopravvive
forse nella “eresia” degli ebioniti – il cui
capo del resto era il fratello di Gesù,
Giacomo, e non Pietro), i racconti delle
“apparizioni” per provare la risurrezione
“differiscono sotto ogni profilo” e “sono
impossibili da conciliare” (Bart D. Ehrman).
La risurrezione ovviamente è l’evento
capitale. Ratzinger riconosce che “nessuno
aveva pensato ad un Messia crocefisso. Ora
il ‘fatto’ era lì, e in base a tale fatto
occorreva leggere la Scrittura in modo
nuovo” (p. 273). Ma il “fatto” è la morte
sulla croce. Della “risurrezione” abbiamo
invece solo la testimonianza di come nel
tempo (i vangeli sono redatti tra il 70 e il
110) si siano stratificate incompatibili
“narrazioni” su come apostoli e discepoli
elaborarono il “lutto”: si aspettavano il
Regno, arriva la morte più infamante,
fuggono (nessuno di loro è presente sul
Golgota), poi qualcuno (Pietro, carico di
sensi di colpa per averlo rinnegato? Una
delle donne?) si convince di averlo “visto”,
in un viandante, un giardiniere, o
attraverso una apparizione di tipo mistico.
E nelle Scritture cercano nuove
interpretazioni che “prefigurino” gli eventi
che hanno elaborato . Questo per quanto
riguarda la storia. Altra cosa è la fede,
ovviamente.
Ratzinger pretende invece l’impossibile,
l’accertamento storico del “credo quia
absurdum” (così, con orgoglio, proclamano i
primi secoli di cristianesimo) o addirittura
la ricerca storica come ancella del
dogmatismo teologico.
*MicroMega 25 marzo 2011
http://temi.repubblica.it/micromega-online/gesu-non-era-cristiano/