Luciano Canfora
Il sovversivo
Concetto Marchesi e il comunismo italiano
Laterza, Roma-Bari, pp. 1005, euro 38,00
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Ampio
e documentassimo saggio storico
biografico, frutto di decenni di
studi archivistici e bibliografici,
corredato da Indice dei Nomi e
riproduzioni fotografiche di
importanti documenti storici, sulla
figura del professor Concetto
Marchesi (1878-1957).
Latinista, docente e rettore
dell'Università di Padova. Deputato
della Repubblica. Da prima del
fascismo, iscritto al PCI di cui
divenne dirigente, anche con ruoli
congressuali prestigiosi.
Libero pensatore rigoroso nella
connessione laica tra pensiero e
azione, affermando la necessaria
liberazione individuale e sociale
dal dogmatismo. Quello che al
contrario era assecondato dalle
politiche istituzionali, che non
manca di denunciare.
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Alcuni esempi: a Pisa nel 1910 attacca la
locale giunta comunale egemonizzata dalla
«fazione
clericale»;
nel 1925 pubblica su l'Unità l'articolo
titolato Giubileo in cui ne
«indica
con crudezza l'intento venale, quattrini,
oro, contro indulgenze profuse»,
denunciando come tutto questo trovi spazio «non
soltanto nelle gerarchie ecclesiastiche del
cattolicesimo»
perché
«lo
spirito stesso del Cristianesimo è una
ostinata forza di conservazione sociale».
E della
chiesa rimarca la sordità di fronte
all'istituto della schiavitù:
«È
comune e falsa opinione che il cristianesimo
abbia combattuto la schiavitù».
Respinse sempre
«il
Dio personale della dommatica cattolica».
E volle coerentemente per sé funerali laici
Da parlamentare votò contro la
“incorporazione” dei Patti Lateranensi nella
Costituzione repubblicana:
«Vogliamo
– dichiarava – che questi Patti Lateranensi
non entrino nell'ossatura e non divengano
parte organica del nuovo Stato».
Si rifiutò di deglutire
«la
totale inversione di linea voluta e attuata
da Togliatti».
Con cui comunque mantenne sempre un rapporto
dialettico aperto, anche nei momenti di
scontro più duro che non mancarono.
Molte le pagine che questo importante libro
dedica alla lucidità con cui Concetto
Marchesi
investigava quella
«cagnara
reazionaria, clericale e fascista»
– come la definiva –
che ha continuato ad imperversare
anche nell’Italia
repubblicana. Il fascismo
«si
è sostanzialmente salvato»
lamentava in un ampio articolo apparso su
Rinascita
nel 1947.
Ed era questo che lo inquietava e
preoccupava.
E Canfora ce ne dà ampia documentazione. Nel
capitolo intitolato
«Il
fascismo non è mai morto»
centrale è la denuncia della
«involuzione
della Democrazia Cristiana, nelle forme
totalitarie che sempre più tende ad assumere
il governo De Gasperi»,
che
«ha
rimesso l'Italia sulla strada che porta al
fascismo».
E non è risparmiata l’ambiguità dell'Azione
Cattolica, il cui il presidente Ambrogio
Donini è definito
«un
fascista»,
sulle pagine di Rinascita.
La dovizia di Canfora, pone davanti a
documenti anche provenienti dagli archivi
del SIM (Servizio Informazioni Militari) di
cui Marchesi sottolinea come
«coi
metodi, gli strumenti e persino le persone
della polizia»
si profilasse un’azione
extra-costituzionale.
Come quando – ad esempio – nel discorso alla
Camera del 1952 denunciava che la normativa
scelbiana sulla libertà di stampa
«aveva
un precedente nella normativa mussoliniana».
Anche il professor Marchesi fu vittima di un
pestaggio poliziesco in occasione di una
manifestazione comunista caricata dalla
polizia nel 1951: il giorno dopo pubblicò su
l'Unità un pezzo rimasto celebre (Malavita
in divisa), in cui attaccava
il ministro degli interni Scelba come
«L'organizzatore
dei malviventi»
della PS. Fu subito denunciato per
vilipendio delle forze
Pierino Marazzani