Paolo Agnoli,
Hiroshima e il nostro senso morale.
Analisi di una decisione
drammatica
Guerini e Associati, pp. 262 €
21.50
"Sentii come se la luna, le stelle
e tutti i pianeti mi fossero caduti addosso".
Così ricordò Harry Truman il suo stato
d’animo nel momento in cui fu informato per la prima
volta, in quanto nuovo presidente, dell’esistenza del
programma nucleare americano alla fine del secondo
conflitto mondiale. Non diversi furono i sentimenti di
quegli scienziati europei, quasi tutti ebrei e molti
comunisti, che vennero a conoscenza dell’analogo
progetto tedesco e una volta arrivati in America perchè
perseguitati convinsero, non senza sforzi e difficoltà
di ogni tipo, il presidente Roosevelt ad intraprendere
infine la costruzione della prima arma atomica,
utilizzata quindi su Hiroshima e Nagasaki.
A mostrare i diversi dilemmi morali
con cui dovettero confrontarsi gli attori coinvolti in
uno degli eventi più significativi della storia umana,
con una prosa coinvolgente e dovizia di particolari -tra
cui alcuni venuti alla luce solo di recente- è ora un
saggio di uno scrittore italiano, Paolo Agnoli, dottore
in fisica e in filosofia e cofondatore di Pangea
Formazione, una azienda specializzata nel ‘decision
making’, l’applicazione della teoria delle decisioni al
contesto strategico, manageriale e industriale.
Hiroshima e il nostro senso
morale (Guerini e
Associati, 262 pagine, bellissime foto) al di là della
lunga ricostruzione storica - che nella prima parte si
sofferma, in modo a tutti comprensibile, sugli aspetti
più propriamente scientifici delle scoperte che resero
possibile la costruzione dell’ordigno nucleare – è
infatti e prima di tutto un’estesa riflessione
filosofica sulle ragioni e motivazioni che spinsero in
America gli scienziati prima e i politici poi ad ideare
e quindi utilizzare un nuovo mezzo di distruzione di
massa.
Agnoli esprime infine un giudizio
fondamentalmente assolutorio nei confronti sia dei
fisici che di Truman: gli americani non solo furono
costretti a combattere perché aggrediti, ma furono anche
spinti ad intraprendere e vincere la corsa al nucleare
perché altri (non solo i tedeschi, ma anche gli inglesi,
i russi e perfino i giapponesi) l’avevano già iniziata;
l’uso dell’ordigno fu un fatto terribile, ma forse il
meno spaventoso tra quelli che avrebbero potuto portare
finalmente alla pace; il lancio dell’atomica fu un
evento tragico ma sicuramente non il più disumano di un
conflitto che vide quasi 60 milioni di morti, di cui il
70% civili.
Non è
però il verdetto finale la parte più interessante del
volume: il lettore del resto può, sulla base degli
accadimenti e dei dati empirici, riportati in modo
ampiamente documentato, produrre un suo personale
giudizio su quelle drammatiche vicende. Il valore del
libro risiede piuttosto nella difesa e nella attenta e
concreta applicazione, nello specifico, di una
concezione dell’etica ‘basata sulle ragioni che le
persone responsabilmente coinvolte sentono di poter
approvare, un’etica basata sugli argomenti e non su
astratti pronunciamenti morali’. Una visione ripresa,
come ci ricorda l’autore, dall’introduzione che ne fa
per primo, almeno in Italia, un filosofo laico come
Eugenio Lecaldano. ‘Esistono solo e sempre casi
specifici nei quali gli individui reali si trovano a
dover decidere personalmente su ciò che è bene o giusto
fare in base alle informazioni in loro possesso in quel
momento e alla situazione specifica nella quale si
trovano a decidere’, presenta così Agnoli questo
approccio pragmatico e scevro da ideologismi.
Atteggiamento che l’autore commenta, tra l’altro, con
una speranza: "Credo che sia proprio mettendo da parte
principi assoluti e non negoziabili e partendo da
intuizioni discutibili e credenze negoziabili,
istaurando quindi un confronto non ideologico sui
valori, che si possano raggiungere risultati concreti e
spesso condivisi in ambito etico".
La
concezione di un’etica basata su modelli dipendenti dal
contesto (storico, personale, informativo), un’etica
assolutamente laica e legata "ai soggetti coinvolti e
alle ragioni che questi possono presentare e onestamente
sostenere", permette all’autore di difendere e mostrare
nel dettaglio, in un caso così drammatico come quello di
Hiroshima, una pratica morale che non riconosce valori
assoluti a priori, ma piuttosto permette di giudicare
come è stata elaborata la soluzione pratica di un
problema pratico senza fuggire dalle proprie
responsabilità. Il lettore alla fine sarà libero di
giudicare, in modo anche molto differente da quello di
Agnoli, le scelte degli scienziati, di Truman e dei suoi
consiglieri politici e militari: una volta però
accettate l’idea e la sfida, auspica sempre l’autore, di
"ragionare in termini morali".
Proprio per questo, scrive nella prefazione al volume lo
storico Giulio Sapelli, il libro è prima di tutto "un
atto morale che vuole invitare più persone ad assumersi
una responsabilità etica". Responsabilità assunta
attraverso lo studio e la riflessione, provando a
vestire i panni dei protagonisti, con fatica certo, ma
evitando in questo modo sentenze retroattive
inappellabili basate solo su ‘istinti morali’ o credenze
ideologiche, che se da una parte ci liberano da dolorosi
dubbi dall’altra risultano, per loro natura,
indiscutibili e per questo sempre pericolose.
Paolo
Cimarelli