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Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
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L’annuncio del Ministro
della Cultura Dario Franceschini, il 5
aprile 2021, in piena pandemia e con i
cinema chiusi, ha il suono di una solennità
fuori sincrono. Il Ministro ha firmato un
decreto che abolisce la censura
cinematografica in Italia, un decreto
attuativo, che segue, dopo un po’ di anni
dalla sua uscita, la Legge Cinema del 2016.
Il decreto prevede una Commissione per la
Classificazione delle Opere
Cinematografiche, composta da 49 figure,
scelte tra esperti del settore
cinematografico, esperti
pedagogico-educativi connessi alla tutela
dei minori e nella comunicazione sociale, e
designati dalle associazioni dei genitori e
dalle associazioni per la protezione degli
animali e dell’ambiente. Risponderà alla
direzione generale cinema del Ministero
della Cultura, presieduta da Alessandro
Pajno, che sostituisce un sistema ben più
macchinoso, fatto di diverse commissioni. Nessun limite alla
libertà dell’arte. Resta la tutela del
minore Non sarà più
previsto e contemplato il divieto assoluto
di uscire in sala né l’uscita condizionata a
tagli o modifiche, al massimo si potrà
vietare la visione di certi film ai minori
di 18 anni. Perché quello che il decreto
prevede è la divisione in quattro categorie:
quelli adatti a ogni tipo di pubblico,
quelli vietati ai minori di 6, 14 e 18 anni.
A proporre la categoria ritenuta più
adeguata per ogni film saranno direttamente
i produttori, e solo a quel punto la
Commissione per la classificazione delle
opere cinematografiche potrà confermare la
scelta o, al massimo, proporne una diversa.
Per confermare o modificare la
classificazione di un film si avranno al
massimo 20 giorni. Quindi una vera e propria
autoregolamentazione, motivo per il quale il
ministro Franceschini ha parlato di un
traguardo importante per la cultura
nazionale, perché è «definitivamente
superato quel sistema di controlli e
interventi che consentiva ancora allo Stato
di intervenire sulla libertà degli artisti». Una storia lunga di
bigottismi e moralismi In Italia la
censura era cominciata negli anni Dieci del
Novecento, con un Regio Decreto che
prevedeva un apposito nulla osta affinché
il film fosse
proiettato. Al Regio Decreto seguirono,
ovviamente, gli anni del fascismo, per il
quale il Cinema fu una formidabile arma di
propaganda, rinforzata dai rigidi controlli
del MinCulPop. Eppure la censura sotto il
fascismo non raggiunse i livelli eclatanti
del secondo Dopoguerra, quando fu affidata
all’allora giovane sottosegretario dalla
presidenza del Consiglio con delega allo
spettacolo Giulio Andreotti. Lo racconta
alla perfezione e con il giusto tocco di
sarcasmo (d’altronde ben gradito anche allo
stesso Andreotti) la celebre scena del
cineforum di C’eravamo tanto amati di
Ettore Scola, con la citazione andreottiana
(«I panni sporchi si lavano in casa»,
riferito nella realtà ad Umberto D.) dopo
una concitata proiezione di Ladri di
biciclette. Come funzionava il
meccanismo censorio La legge in vigore fino
a poche ore fa, arrivò nel 1962 e prevedeva
una Commissione di primo grado e una
d’appello, e la necessità, esattamente come
all’epoca del Regio Decreto, di un apposito
nulla osta per l’arrivo di un film nei
cinema. Quella della commissione non era
necessariamente la censura più temibile:
oltre al controllo preventivo sulla
sceneggiatura e la visione da parte della
commissione di revisione, c’era infatti la
possibilità che il film venisse denunciato
da privati cittadini o magistrati, e, a
seguito di tali denunce processato. Proprio
la situazione grottesca, in una Italia da
operetta, in cui vizi e virtù piccolo
borghesi venivano custoditi tra le mura
domestiche, messa in scena da Scola. Tagli e modifiche…
anche su Totò I numeri del
dopoguerra italiano sono notevoli, basti
pensare che dei 34.433 lungometraggi
sottoposti a censura dal 1944 a oggi, non
hanno ottenuto il visto di censura 274 film
italiani, 130 americani e 321 provenienti da
altri paesi. Sono invece 10.092, quelli
ammessi dopo tagli o modifiche. La lista è
lunga, e zeppa di nomi prestigiosi e di casi
clamorosi: non solo Blow-Up di
Michelangelo Antonioni (1967), Arancia
meccanica di Stanley Kubrick (1971),
Ultimo tango a Parigi di Bernardo
Bertolucci (1972), Salò o le 120 giornate
di Sodoma di Pier Paolo Pasolini (1975),
casi ben noti, ma anche film come Totò e
Carolina di Mario Monicelli, del 1955.
E, per la cronaca, l’ultimo film censurato
in Italia è del 2012: un horror del regista
Raffaele Picchio ambientato nella Roma del
73 a. C., Morituris, censurato a
causa di «perversità
e sadismo
gratuiti». Probabilmente non
una gran perdita per il grande pubblico, se
si pensa che i motivi del giudizio censorio
sono stati gli «tti
di perversa violenza» nei quali
«viene
impiegato un topolino come un oggetto
sessuale». È l’unico film censurato del
millennio, dopo il caso ben diverso, e a suo
modo clamoroso di Totò che visse due
volte, di Ciprì e Maresco, del 1998.
Sostenere il Cinema Dunque, il decreto
firmato da Franceschini segna la fine dei
panni sporchi lavati in casa, o è molto
rumore per (quasi) nulla? Seppur
praticamente inesistente (salvo i sopra
citati due casi) negli ultimi decenni, di
fatto l’abolizione formale e per decreto
della censura è comunque una rivoluzione.
Certo, simbolica più che di fatto, dato che
da tempo ormai il fatto non sussisteva più.
Assume un significato particolare, in questi
giorni, perché da ora in poi a nessun film
sarà possibile vietare di arrivare in sala,
ma le sale sono chiuse, e chissà quando
riapriranno. Sperando che riaprano. Sembra
quindi, la scelta di Franceschini, più una
promessa, che speriamo sia mantenuta.
Sostenere il cinema, e soprattutto le sale,
per ricominciare a vedere i film uscendo dai
nostri divani e dalle piattaforme alle quali
ci siamo troppo facilmente arresi.
Auguriamoci che la scelta di firmare il
decreto che sancisce la fine della censura a
sale chiuse e in piena pandemia, segni la
rinascita di quel cinema, che non è,
e non può essere, senza il pubblico, la
platea, la sala. Nel frattempo, la storia
della censura cinematografica in Italia è
ben raccontata e mostrata su CineCensura.com,
mostra digitale e permanente che divide i
casi di censura in quattro grandi temi:
sesso, politica, religione e violenza. Oltre
300 lungometraggi, 80 cinegiornali, e 100
tra pubblicità e cortometraggi, oltre a
manifesti censurati e filmati di tagli.
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