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Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
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Pier Paolo
Pasolini 45 anni dopo il suo omicidio di
Antonella Cristofaro
La
notte del 2 novembre del 1975 moriva nel
modo che sappiamo, in un campo
dell’Idroscalo di Ostia, Pier Paolo
Pasolini. Il suo corpo martoriato, disteso
su uno sterrato di periferia, non distante
dal mare e dalla città. Di Pasolini e della sua
morte ancora oggi piena di ombre, si è
scritto molto. Amici e nemici hanno
raccontato qualcosa di quel piccolo grande
uomo che amava spogliare la verità dalle
certezze per farle poi indossare le vesti
di una laica e tutta umana pietas. Pasolini è stato un
intellettuale libero, un “corsaro” che ha
lottato con forza e tenacia contro un potere
politico corrotto come un grimaldello capace
di scardinare quella omologazione
capitalistica che si avvaleva di un uso
della parola trasfigurata, abusata, utile a
tradurre il neolinguaggio di un potere che
si stava, in quegli anni, appropriando di
un’Italia in trasformazione, ma che ancora
tratteneva a sé tratti di una grande
bellezza arcaica. Pasolini aveva
compreso che alcuni aspetti di un
sano conservatorismo andavano preservati,
tutelati poiché immanenti e profondamente
rivoluzionari. L’inganno della parola
ammantata dei suoni di un progresso tutto
capitalistico, vedeva la parola stessa in
pericolo; quel progresso omologante la
avrebbe snaturata, deprivata della sua
capacità comunicativa; e, in sintesi,
della sua umanità. All’inganno delle scelte
lessicali, usate queste ultime per educare,
edulcorare, persuadere e allo stesso tempo
per raffreddare le emozioni, Pasolini
opponeva la Poesia come logos elegiaco e
vitale. Tutta la sua opera, narrativa,
giornalistica, filosofica, cinematografica è
di fatto poetica e, forse per questo motivo,
in tanti hanno voluto intravedere il lui il
profeta. Ma è la poesia stessa ad
essere intrinsecamente profetica. L’opera tutta poetica di
Pasolini non ama l’indugio, l’uso prolisso
della parola che l’autore considera come una
espansione eccessiva di un Io che deborda;
ama la paratassi, l’immediatezza,
l’essenzialità del valore assoluto,
dell’unica parola, utile perché necessaria;
dell’inquadratura accuratamente scelta; un
cesello manierista capace di esprimere la
misteriosa solitudine dell’uomo così
naturalmente ebbra di poesia e poeticità. Cosa è rimasto
dello sguardo pasoliniano, oggi? Quel che prevale intorno
a noi è una umanità in perenne agitazione,
un brulichio di persone e di insensate
parole che urlano, che pretendono verità e
risposte immediate a bisogni indotti, una
umanità che sa solo consumare e che appare
ormai prigioniera dell’angoscia di possesso. Una istanza di
immediatezza che prelude ad una anarchia
egoica totale. Questa umanità sembra
interessarsi solo a bisogni istantanei,
liberatori e illusori. Spesso si percepisce
un potere che in realtà non si ha e questo
tragico fraintendimento si trasforma in
violenza e deformazione della verità. Ecco allora che Pier
Paolo Pasolini con la sua produzione
letteraria e filmica continua, tremendamente
attuale, a parlarci.
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