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Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
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Silvia Romano e
quel velo bandiera islamista Maria Mantello Rapita
il 20 novembre del 2018 dall'orfanotrofio di
Chakama in Kenya da un commando armato, e
venduta alla formazione jiadista degli
al-Shabaab, Silvia Romano è stata da loro
utilizzata come un prezioso balocco
d’investimento economico e politico. Non solo portano loro
soldi, tanti soldi puliti, ma anche una
risonanza politica stupefacente se l’ex
prigioniero è reso col bollo della
conversione “spontanea”. Soprattutto se si
tratta di una donna. Il Falcon
dell'intelligence, che ha riportato Silvia
Romano a casa, è atterrato a Ciampino sabato
9 maggio intorno alle 14.10 e la giovane ci
è comparsa con indosso un jilbab verde. Il
velo imposto alle donne dall’islamismo
somalo. Quella larga coperta
verde copriva capo e corpo di Silvia Romano.
E quando la ragazza alzava le braccia
lasciava intravedere una tipica tunica
africana in tessuto batik che le arrivava
alle caviglie, anche queste però coperte dai
pantaloni rosa di una tuta. Un corpo
intabarrato, da celare, controllare. Un corpo di donna da
dominare e tenere in soggezione insieme alla
sua mente. Perché questo il velo è. Le immagini erano sugli
schermi di tutto il mondo. E i suoi
carcerieri nel vederle festeggiavano,
postando la loro gioia sui social. La
bandiera islamista era stata ben issata. Ve l’abbiamo restituita,
ma convertita. «Nessuno mi ha costretta.
Non c'è stato alcun matrimonio né relazione,
solo rispetto». Sono state le prime
dichiarazioni della giovane, già
all’ambasciata italiana prima dell’imbarco
per l’Italia. E alla Questura di Roma
ha raccontato: «Mi è stato messo a
disposizione un Corano e grazie ai
miei carcerieri ho imparato anche un po' di
arabo. Loro mi hanno spiegato le loro
ragioni e la loro cultura. Il mio processo
di riconversione è stato lento». “Riconversione”, parola
chiave. Come se l’essere islamici fosse un
preordinato sigillo fuori del tempo e dello
spazio. Un imprimatur assoluto, eterno, che
dà alla conversione l’illusione della
scelta. Non sappiamo quanto sia
accaduto a questa ragazza di 25 anni in quei
lunghi 18 mesi nelle mani di uno dei gruppi
più feroci del fanatismo islamista che mira
ad espandersi ben oltre il Corno d’Africa. Le dinamiche psicologiche
sono complesse tra carnefice e vittima. E a comandare non è certo
quest’ultima in preda alla paura e al
terrore della morte. Tutto cambia in una
situazione del genere, dove il plagio può
diventare autoconvinzione di scelta
autonoma. Una cosa è certa però.
Non è Silvia Romano sotto giudizio, ma i
carnefici che l’hanno fatta rapire, tenuta
reclusa nei loro covi, in una situazione di
dipendenza assoluta dalle loro decisioni. Allora solo degli
imbecilli, analfabeti della democrazia,
possono scaricare la loro ira contro la
ragazza, con insulti e assedi sotto la casa
dove abita. Silvia va lasciata in
pace, come chiede lei e la sua famiglia. Diversamente, si fa il
gioco dei suoi carnefici. Qualcuno lo
spieghi anche a qualche politico di casa
nostra che è arrivato a definire dagli
scranni del Parlamento la ragazza
“neo-terrorista”. Tranne poi a porgere le
scuse di rito. Della serie: vediamo
l’effetto che fa! e intanto magari una
manciata di voti me la assicuro. Silvia Romano continua ad
essere utilizzata. E anche i terroristi
possono continuare a farlo, adesso hanno un
loro portavoce ufficiale, che rilascia
interviste (a pagamento?) su note testate
giornalistiche, dove ad esempio, a proposito
della conversione di Silvia Romano ha
spiegato che è avvenuta «perché ha
sicuramente visto un mondo migliore di
quello che conosceva in precedenza». Menzogna pura, solo se
pensiamo alle guerre in atto e alla
condizione delle donne. Ma tanta pubblicità
a quel velo bandiera identitaria, con cui ce
l’hanno restituita e che lei non ha voluto
togliersi anche quando avrebbe potuto
liberarsene, ormai al sicuro lontana dai
miliziani islamisti. Una questione aperta. Che
solo Silvia potrebbe chiarire. Innanzitutto
a stessa. E non è certo impresa facile. Anche su
MicroMega
http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/?p=29439
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