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Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
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Attenti a uscire dai binari
costituzionali Coronavirus e decreti
Sabino Cassese
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I nostri governanti hanno davanti scelte
difficilissime. Debbono tener conto di un fenomeno di cui
non si conosce la progressione e la durata. Debbono, da
un’ora all’altra, decidere se milioni di persone possono
uscire da casa. Debbono farlo tenendo conto sia della
emergenza sanitaria, sia della emergenza economica che i
loro stessi provvedimenti producono. Debbono ascoltare
regioni e comuni, che fanno la voce grossa. Sono, inoltre,
per lo più, alle prime armi (la signora Merkel - per fare un
paragone - è stata per più di dieci anni parlamentare, per
tre ministro e ora per quindici cancelliere). Sono comprensibili, quindi, le loro
esitazioni. È comprensibile - ma non giustificabile -
l’avere scelto la strada sbagliata di creare in fretta e
furia un nuovo diritto dell’emergenza sanitaria, uscendo dai
binari delle leggi di polizia sanitaria già esistenti, a
partire dalle norme della Costituzione sulla profilassi
internazionale fino a quelle del Servizio sanitario sulle
epidemie e al testo unico delle leggi sanitarie. Non si comprende, invece, perché i
nostri governanti continuino a scrivere proclami così
oscuri. L’ultimo decreto del presidente del Consiglio dei
ministri, annunciato in televisione la sera del 21 marzo,
firmato la sera successiva ed entrato in vigore il giorno
dopo, contiene, nella parte dispositiva, 864 parole e ben
dieci rinvii ad altri decreti, leggi, ordinanze, codici,
protocolli. A Palazzo Chigi pensano che tutti gli
italiani siano dotati di una raccolta normativa completa,
incluse le ordinanze? Bernini e Borromini, poi,
sarebbero ammirati del barocchismo della costruzione del
decreto. È disposto il fermo di tutte le attività, salvo
quelle che è consentito proseguire (indicate in un elenco
allegato), quelle che sono funzionali ad esse e ai servizi
di pubblica utilità ed essenziali (ma queste ultime con
qualche eccezione e salvo contrordine del prefetto), quelle
di impianti a ciclo di produzione continuo (salvo
contrordine del prefetto), quelle aerospaziali e di
rilevanza strategica (previa autorizzazione del prefetto).
Il provvedimento, infine, consente di allargare o
restringere l’elenco delle attività sospese, con decreto del
ministro dello Sviluppo economico, d’intesa con quello
dell’Economia, e contiene una clausola finale secondo la
quale «resta consentita ogni attività comunque funzionale a
fronteggiare l’emergenza» (chi le individua?). Si aggiunga che anche presidenti
di regioni e sindaci si sono dedicati all’arte dei proclami
(che riguardano anch’essi circolazione, riunioni, lavoro), e
che l’hanno fatto anche ministri. Per esempio, i ministri
della Salute e dell’Interno hanno firmato il 22 marzo una
ordinanza che vieta il trasferimento o spostamento in comuni
diversi da quelli in cui i cittadini si trovano, norma
contenuta anche nel decreto del presidente del Consiglio di
pari data, ma entrata in vigore il giorno dopo («repetita
juvant», pensa evidentemente il governo). I genitori che, in questi giorni
(e non sappiamo per quanto tempo ancora), nelle pause dello
«smart working», debbono preoccuparsi dei compiti dei figli
e programmare le uscite e le attese per comprare da
mangiare; chi deve andare al lavoro e non sa se la sua
impresa o il suo ufficio sospende l’attività oppure no; chi
deve portare fuori il cane e non sa quanto può allontanarsi
dalla sua abitazione, avrà il tempo di procurarsi tutte le
norme, leggerle, porle a raffronto, consultare un avvocato,
per decidere cosa fare? Il 9 agosto 1940 Churchill firmò
dal Gabinetto di guerra, al numero 10 di Downing Street, un
documento di una pagina, intitolato «Brevity», che elencava
in quattro punti come dovessero essere scritti i documenti
governativi. Se non si vuole attraversare la Manica, si può
leggere il «codice di stile» delle amministrazioni
pubbliche, prodotto nel 1994 dal ministero della Funzione
pubblica. Un rapido esame di uno di questi testi potrebbe
insegnare qualcosa a coloro che scrivono e a quelli che
firmano decreti, ordinanze e leggi. È il «minimo sindacale»
che il popolo può aspettarsi dall’«avvocato del popolo»:
siate chiari, almeno questo possiamo chiederlo. * Corriere della Sera 24 marzo 2020 (Titolo originale: I nostri governanti devono essere Chiari)
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