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Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
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MES - Fondo Salva-Stati Prima cambi la logica
europea Appello di 32 economisti
italiani
I governi europei stanno
discutendo due importanti riforme ed entrambe, per
come al momento sono strutturate, possono avere per
l’Italia conseguenze molto gravi. Quella che è
giunta alle ultime battute e dovrebbe essere
approvata entro breve riguarda l’European Stability
Mechanism (Esm), il cosiddetto Fondo salva Stati.
Questo Fondo, istituito nel settembre del 2012,
dovrebbe intervenire in soccorso degli Stati che si
trovassero in grave difficoltà. L’aiuto agli Stati
in linea con i parametri stabiliti dalle regole del
Fondo non richiede particolari requisiti, mentre per
quelli non in linea è previsto solo a patto di
pesanti condizionalità, tra le quali giudizi sulla
sostenibilità del debito e sulla capacità di
rimborsarlo, in seguito ai quali può essere
richiesta allo Stato in questione una
ristrutturazione del debito. Osserviamo che: I parametri scelti sono tali da
escludere a priori che l’Italia possa soddisfarli;
ci si riferisce invece tra l’altro a “un saldo di
bilancio strutturale pari o superiore al valore
minimo di riferimento”: il metodo di calcolo del
saldo strutturale è da tempo contestato dal nostro
paese, ed è oggetto di una campagna promossa da
economisti di vari paesi che ne ha dimostrato
l’assoluta inaffidabilità. Se dunque l’Italia dovesse
ricorrere all’Esm, sarebbe sottoposta ai giudizi sul
debito e potrebbe esserle richiesto di
ristrutturarlo. In questo caso subirebbero perdite
non solo i possessori privati dei nostri titoli di
Stato, ma soprattutto i bilanci delle banche,
facendo precipitare tutto il sistema creditizio in
una grave crisi. Si dice che non ci sono
automatismi che prevedano la ristrutturazione, ed è
vero; ma il solo fatto che ve ne sia la possibilità
costituisce agli occhi dei mercati un fattore di
rischio, a fronte del quale gli investitori
chiederanno interessi più elevati. La recente
risalita dello spread costituisce già un segnale di
inquietudine dei mercati che non sembra opportuno
alimentare. L’insorgere di una crisi in
seguito a un cambiamento delle regole è già avvenuto
nel 2010, dopo che la cancelliera tedesca e il
presidente francese annunciarono la decisione di
coinvolgere i privati nelle conseguenze della crisi
greca. E comunque questo può sempre accadere in
occasione di situazioni di instabilità dei mercati
che abbiano magari origine lontano dall’Italia. Il
problema non è dunque quali probabilità ci siano che
l’Italia sia costretta a ristrutturare il debito: il
fatto che venga rafforzata la possibilità che ciò
accada è di per sé sufficiente ad aumentare il
rischio-paese. Così, uno strumento che dovrebbe
aumentare la capacità di affrontare le crisi può
trasformarsi nel motivo scatenante di una crisi. Il ministro dell’Economia
Roberto Gualtieri afferma che rispetto alle regole
già in vigore le variazioni sono minime. Vanno però
nella direzione di facilitare una eventuale
ristrutturazione del debito, fatto che può essere
percepito negativamente dai mercati, a prescindere
dalla probabilità che questa eventualità si
presenti. Inoltre bisogna considerare che si
rafforzano i poteri di un organismo assolutamente
coerente con l’impostazione che ha prevalso
nell’Unione, secondo cui gli obiettivi essenziali
della politica economica, quelli su cui si
concentrano le regole del Fiscal compact non a caso
richiamate in questa riforma, sono essenzialmente il
consolidamento dei conti pubblici e la riduzione del
debito: in altre parole la politica di austerità. Ai
fini della crescita questa concezione non prevede
altro che le “riforme strutturali”, che dovrebbero
stimolare le forze spontanee del mercato. Il fatto
che ciò non sia avvenuto e che non stia avvenendo
viene del tutto ignorato. Inoltre l’Esm è stato istituito
per fungere da prestatore di ultima istanza, un
ruolo che in ogni Stato è svolto dalla banca
centrale, mentre alla Bce è stato vietato. Ma una
banca centrale ha risorse illimitate, l’Esm no, e
questo agli occhi della speculazione fa la
differenza. L’ESM è un organismo per noi
inutile: non ne abbiamo bisogno e comunque
ricorrervi peggiorerebbe la nostra situazione. La seconda riforma in
discussione è il completamento dell’unione bancaria
con l’istituzione di una garanzia comune dei
depositi. Il ministro delle Finanze tedesco Olaf
Scholz ha di recente riproposto una condizione a cui
da tempo l’Italia si oppone, ossia quella di
attribuire un coefficiente di rischio ai titoli
sovrani posseduti dalle banche. Una scelta che
causerebbe all’Italia – e questo senza alcun margine
di incertezza – una doppia crisi, sia bancaria che
del debito, provocata esclusivamente da motivi
regolamentari. Non vogliamo pensare che la strada
individuata dai nostri partner europei per forzare
una riduzione del debito pubblico italiano sia
quella di provocare una crisi che spingerebbe a una
inevitabile ristrutturazione; osserviamo però che la
combinazione tra la riforma dell’Esm e la proposta
sui titoli pubblici è suscettibile di essere
interpretata dai mercati proprio in questo modo. Non
si può non concluderne che chi sostiene questa linea
dimostra di non aver appreso le lezioni del passato
riguardo alle dinamiche dei mercati finanziari. A nostro parere l’Italia
non dovrebbe sottoscrivere la riforma dell’Esm.
L’obiezione che in questo modo il nostro paese si
troverebbe politicamente isolato è singolare:
l’Italia è già politicamente isolata, altrimenti non
saremmo in questa situazione. E d’altronde in una
situazione analoga ci troveremo quando si stringerà
sulla seconda riforma, quella sulla garanzia dei
depositi: non potremo mai accettare la condizione
posta da Scholz, che equivarrebbe a tuffarci nel
default. Al veto sull’Esm bisogna
dare il significato di un rifiuto della logica che
ha finora prevalso in Europa e che si è rivelata
perdente dal punto di vista dell’efficacia. I
compromessi sono possibili e auspicabili, ma si
raggiungono quando ciascuna delle parti tiene conto
delle posizioni e delle necessità delle altre, cosa
che finora non è avvenuta. L’Italia avanzi delle
proposte alternative su tutto il pacchetto delle
riforme, dimostrando che riduzione del rischio e
crescita non sono due obiettivi antitetici. FIRMATARI:
Nicola Acocella; Sergio Bruno; Sergio
Cesaratto; Carlo Clericetti; Massimo D'Antoni;
Antonio Di Majo; Giovanni Dosi; Sebastiano Fadda;
Maurizio Franzini; Andrea Fumagalli; Mauro Gallegati;
Piergiorgio Gawronsky; Claudio Gnesutta; Riccardo
Leoni; Stefano Lucarelli; Ugo Marani; Massimiliano
Mazzanti; Domenico Mario Nuti; Ruggero Paladini;
Gabriele Pastrello; Anna Pettini; Paolo Pini; Felice
Roberto Pizzuti; Riccardo Realfonzo; Roberto Romano;
Guido Rey; Roberto Schiattarella; Alessandro Somma;
Antonella Stirati; Leonello Tronti; Andrea Ventura;
Gennaro Zezza.
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