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Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
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Sulla pelle dei Curdi
di Maria Mantello
L’accordo di Sochi del 22
ottobre 2019 tra Erdoğan e Putin – officiante per
procura Trump – è l’approdo del progetto di
distruzione del Rojava-Kurdistan, pianificato dal
Sultano che sogna il ritorno all’impero turco. Un
disegno che passa per l’archiviazione di ogni
aspirazione dei curdi a un proprio Stato. Il Kurdistan, lo stato negato
costituito da milioni di curdi stanziati nelle aree
di confine tra Turchia, Siria, Iraq, Iran. Questo popolo vede ancora una
volta sfumare il diritto a diventare Nazione,
nonostante il suo contributo decisivo per la
sconfitta dell’Isis. Un tradimento che evoca quello
avvenuto a ridosso della fine della prima guerra
mondiale, nonostante i curdi, anche allora, avessero
combattuto per l’Occidente contro l’Impero Ottomano. Alla conferenza di Parigi,
venivano accolti i 14 punti del presidente americano
Wilson per una pace fondata su principi di
eguaglianza e democrazia. Imprescindibili quindi, le
aspirazioni all’autonomia dei popoli. Per il nostro discorso, è
importante ricordare che il punto 12 sanciva: «Le
nazionalità che vivono attualmente
sotto l’Impero turco devono godere una
sicurezza certa di esistenza e di potersi sviluppare
senza ostacoli; l’autonomia deve essere loro
concessa». Ne seguiva il trattato di Sèvres
del 10 agosto 1920, che riconosceva espressamente
anche ai curdi il diritto a
uno Stato. Ma ben presto a prevalere furono
gli interessi della Turchia, che vinta la sua guerra
d’indipendenza, col trattato di Losanna del 24
luglio del 1923 vedeva il riconoscimento della
Repubblica turca, mentre era vanificata la
realizzazione di un Kurdistan indipendente. Inizia la lunga storia di
smembramenti, persecuzioni, deportazioni, tentativi
di sterminio del popolo curdo nelle lotte di
sopraffazione in questa area superbollente del Medio
Oriente. Dove la coraggiosa e battagliera
popolazione curda è stata utilizzata e sacrificata,
ogni volta, in nome degli interessi politici ed
economici su quelle terre, ricche per altro di
risorse petrolifere.
Una storia che si ripete oggi,
abbandonando i curdi del Rojava all’invasione del
sultano.Erdoğan, che spudoratamente chiama i curdi
«terroristi». E la sporca guerra che gli porta
«Operazione Fonte di pace». «Chiunque non usi questa
terminologia è un traditore», ha tuonato e tuona
Erdoğan, non pago di aver già riempito le galere di
intellettuali e giornalisti indipendenti, ma anche
di semplici cittadini che osino manifestare il
minimo dissenso. Nell’ignavia e affarismo
dell’Occidente, il sultano ha sguinzagliato per
cielo e per terra la sua imponente forza militare
contro i Curdi della Siria occidentale (Rojava
significa Occidente). Una manifestazione di
onnipotenza, contando che in quella pianura gli
sarebbe servito molto meno per il suo pacifico
programma: «Schiacceremo la testa ai curdi!». Un antico motto curdo recita:
«Ci è amica solo la montagna». Già, la montagna,
come sapevano bene anche i nostri Partigiani che
sulle montagne trovavano rifugio e dalle loro
altezze potevano controllare gli spostamenti dei
nazifascisti e realizzare contro di essi le loro
azioni di guerriglia. E popolo di guerriglieri sono i
curdi, che nel Rojava hanno stanato casa per casa i
miliziani dell’Isis. Le donne curde in prima linea
sono diventate il simbolo della lotta ai tagliatori
di teste, ma anche dell'emancipazione e
autodeterminazione della libertà mondiale delle
donne. Rojava, la regione che comprende
i cantoni di Kobane, Afrin e Cizre. Il più grande
insediamento curdo. Un modello di libertà e
giustizia. Nell’affermazione della laicità, dei
diritti umani, delle effettive pari opportunità per
le donne. Insomma un modello di società democratica
effettiva: nel pubblico e nel privato. Una
amministrazione libera per un popolo libero. Scomodo, troppo scomodo quel
vento di libertà, in quell’area geopolitica di
teocrazie islamiche. Di cui il patriarcato sessista
e gerarchico è fondamento mezzo fine per il più
rigido controllo sociale. Rojava è giustamente l’orgoglio
dei curdi e dovrebbe esserlo anche per l’Occidente,
che al contrario traffica con califfi, sultani,
ayatollah. E forse non è solo questione di
affari, visti i leader politici e capi di stato
occidentali che ostentano maschilismo, sessismo,
razzismo. Stati formalmente
democratici, i nostri, ma dove può accadere che la
sovranità popolare diventi sempre più
l’accerchiamento populista del popolo sovrano: per
lo svuotamento degli strumenti democratici nella
sindrome del ritorno all’Uomo solo al
comando. Gli Erdoğan i Trump, i Putin...
e con loro le ampie schiere di aspiranti duci e
ducetti, dimostrano quanto l’ingordigia di controllo
sociale abbia bisogno di idoli e idolatri, che nel
marchio patriarcale affermino mantengano restaurino
il narcotico della sindrome servo-padrone: dalla
famiglia alla società. Dal’inizio
dell’occupazione turca in Siria, abbiamo assistito
ai silenzi e ipocrisie dell’Europa. Alle messe in
scena del cinguettante Trump, che dopo l’ok ad
Erdoğan, cinicamente si autogiustificava: «I curdi
non sono santi». Al risveglio dall’insipienza di
Assad che si è spinto ad appellare Erdoğan «ladro di
terra». E su tutti si ergeva
sornione Putin, che a Sochi riceveva Erdoğan. E alla
fine tutti d’ccordo, nello spartirsi potere e
affari. Sulla pelle dei curdi, con chiusura di
siparietto di Trump che ritirava sanzioni economiche
che sapeva bene che non avrebbe mai dovuto
applicare. Missione di mercimonio compiuta. Per la liquidazione della
questione curda è all’orizzonte (forse?) un altro
sterminio. E il lavoro sporco non lo farà l’esercito
di Erdogan, ma probabilmente quella manovalanza
jihadista che in quell’area scorribanda e che
abbiamo visto all’opera, sulla strada tra Manbij e
Qamishlo, per assassinare Hevrin Khalaf il 12
ottobre scorso. Su questa scomodissima
donna: femminista, attivista per il riconoscimento
dello stato Curdo, laeder del Partito della Siria
del Futuro, si è riversava tutta la barbarie
dell’odio femminicida. Dopo aver crivellato il suo
corpo, gli omicidi ne hanno fatto scempio
lapidandolo e strascinandolo per i capelli per un
tratto talmente lungo che la pelle delle povere
gambe scuoiate diveniva la striscia di un lugubre
lastricato. Un’opera di macelleria filmata e messa
in rete, sembrerebbe, dagli stessi carnefici. Ma oltre a questa
soldataglia jiadista, ritornano in campo anche i
miliziani dell’Isis. Molti sono fuggiti dalle
prigioni curde bombardate. E non sarebbe loro
difficile mescolarsi ai profughi dei campi allestiti
in Turchia da Erdoğan e che saranno spostati nella
fascia di occupazione del territorio dei curdi
siriani. Il disegno di epurazione curda
Erdogan non l’ha mai nascosto. E adesso potrebbe
divenire realtà anche attraverso una probabile
guerra etnica tra chi in quell’area aveva instaurato
la democrazia e chi questa considera un sacrilegio. Anche su MicroMega
on.line
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