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Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
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Suicidio assistito. La falsa
coscienza clericale di Maria Mantello
Il Comunicato stampa emesso dalla Corte Costituzionale il 25 settembre 2019 costituisce un punto di non ritorno rispetto alla depenalizzazione del suicidio assistito, che non può essere equiparato all’istigazione al suicidio. Pertanto, nessun giudice potrà condannare né Marco Cappato per aver aiutato Dj Fabo a raggiungere la Svizzera, né altri che agevolino l’esecuzione del suicidio in situazioni analoghe Il Comunicato stampa della Corte Costituzionale è chiaro: «la Corte ha ritenuto non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli». Certamente dovremo aspettare il
testo della sentenza per capirne appieno ogni
passaggio, compreso quel «a determinate condizioni»,
che comunque la Corte ritiene necessarie «per
evitare rischi di abuso nei confronti di persone
specialmente vulnerabili». Dovremo aspettare la sentenza
certamente. Ma il principio che il proprietario della sua vita è solo l’individuo nella sua singolarità di soggetto storico biologico concreto che si autodetermina e sceglie con «decisioni libere e consapevoli» sul suo fine vita, è assolutamente fissato. E nessuna legge italiana, pena la sua incostituzionalità, potrà adesso escludere a priori la scelta del suicidio assistito. Ma la CEI (il cui presidente è nominato personalmente dal papa), dopo il fallimento delle sue spudorate interferenze addirittura sulla Corte Costituzionale a rimandare questa dovuta sentenza, ha iniziato la crociata per ottenere una legge sul fine vita che ostacoli il suicidio assistito. E l’espediente eccolo pronto: il medico obiettore. Sperando così, di replicare il boicottaggio realizzato per l’interruzione volontaria di gravidanza. Allineate già le truppe di unti e untorelli che brandiscono la spada della coscienza che di libertà ha ben poco e anche di autonoma consapevolezza, stando a quanto stabilisce il catechismo definito dalla Chiesa. «Nell'intimo della coscienza
l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma
alla quale invece deve obbedire [...]. L'uomo ha in
realtà una legge scritta da Dio dentro al suo cuore
[...]. La coscienza è il nucleo più segreto e il
sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio,
la cui voce risuona nell'intimità propria»
(canone1776). E che ne «attesta l'autorità della
Verità in riferimento al Bene supremo, di cui la
persona umana avverte l'attrattiva ed accoglie i
comandi» (canone 1777). Una ben strana coscienza, visto
che è tutta già predefinita nell’automatismo
dell’identificazione del giudizio personale con
l’obbedienza al precetto-legge: «È attraverso il
giudizio della propria coscienza che l'uomo
percepisce e riconosce i precetti della Legge
divina» (canone 1778) E via dogmatizzando fino al
canone 1802 che sintetizza: «La Parola di Dio è una
luce sui nostri passi. La dobbiamo assimilare nella
fede e nella preghiera e mettere in pratica. In tal
modo si forma la coscienza morale». Così nell’opinione sacralizzata, che l’identità umana coincida con la fede religiosa, ogni autonoma possibilità di gestire la propria vita è negata, perché della vita, di ogni singola vita il proprietario sarebbe un dio, o meglio chi dice di avere le chiavi della “parola di dio”. Se il libro “sacro”, la parola “sacra” è legge, l’individuo è schiacciato perché gli si riconosce umanità solo se si conforma al modello di essere umano prefissato dal potere religioso che in nome di un dio pretende di dettare legge. Si chiama teocrazia. Oggi questa parola ci evoca
quelle islamiche che conculcano diritti, libertà,
autodeterminazione. Ma stiamo attenti a che, di cedimento in cedimento in privilegi e omaggi alla Chiesa di casa nostra, alla fine non sia questa a occupare ogni spazio dell’Agorà.
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