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Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
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Risplende la luna di Francesco
Saverio Borrelli di Maria Mantello
Francesco Saverio Borrelli se
n’è andato il 20 luglio 2019. Lo stesso giorno in
cui tutto il mondo celebrava i cinquant’anni
dell’allunaggio. Un caso certamente! Ma
l’associazione simbolica è inevitabile, perché
Borrelli ci era sembrato davvero volare col suo pool
Mani pulite verso la luna: alla ricerca della
legalità costituzionale dispersa dal sistema
strutturale di corruzione e corruttele dell’era
craxista. Che solo chi sguazzava nel piatto del
putridume di quella minestra può rimpiangere. E che
a ridosso della morte del Magistrato non ha
rinunciato a cercare riflettori mediatici per
vomitare i suoi gorgoglii di fango, in vanesi
esercizi di ribaltamento della verità storica di
Tangentopoli. Ma mentre la luna della
rivoluzione di Mani pulite costoro non riescono a
precipitarla nel loro pozzo di menzogne, Craxi resta
un corrotto e un corruttore. Come hanno stabilito i
magistrati della Repubblica Democratica. Quei
giudici, che la Costituzione ha preposto a punire i
trasgressori delle leggi, anche quando ricoprono gli
scranni più alti. E che indagando scoperchiarono il
marciume di un sistema di potere elevato a sistema
di governo. Tutto iniziò con lo scandalo
Mario Chiesa, direttore del Pio Albergo Trivulzio,
colto in flagranza di reato in quel 17 febbraio del
1992 mentre intascava dalla ditta di pulizie sette
milioni. Era solo una rata! Mario Chiesa veniva definito da
Craxi un “mariuolo”. Un caso isolato dunque, da cui
prendere le distanze. E pensava che tutto sarebbe
finito lì. Ma Chiesa, arrestato e sentitosi
perso, iniziò a parlare. I processi intanto si
moltiplicavano, dipanando l’affaristica rete
omertosa, dove senza il pizzo della tangente niente
si muoveva. Tutto programmato e quantificato
con tanto di prontuario tariffario. Il Paese lo
scopriva, e l’indignazione cresceva di giorno in
giorno. Indelebile l’immagine di quel 30
aprile 1993, quando davanti all’albergo di piazza
Navona, residenza romana del leader del PSI, si
erano adunati tanti cittadini furenti di sdegno: il
principale accusato di corruzione, concussione e
finanziamento illecito, era stato sottratto dal
Parlamento al suo legittimo processo. La Camera il
giorno prima aveva negato l'autorizzazione a
procedere contro Bettino Craxi, che si era difeso
davanti ai colleghi deputati con gli argomenti dei
tutti - colpevoli nessuno - colpevole e dei giudici
persecutori. Scappatoie che ancora oggi
intonano i suoi famigli, allievi ed epigoni.
Compagni di merende, o aspiranti tali, di ieri e di
oggi. E che adesso addirittura vorrebbero
convincerci che tutto sommato “il sistema” non era
proprio da buttar via, creava lavoro e faceva
crescere le imprese! Ma si tralascia di ricordare,
ad esempio, che queste fidate imprese campavano alle
spalle dello stato in un circolo vizioso di amorale
familismo politico e allegra finanza. Per buona memoria, nel
quadriennio del governo Craxi il rapporto tra debito
pubblico e prodotto interno lordo era arrivato al
92%. E nel 1992 (anno dell’inizio di Tangentopoli)
era al 118%, mentre avanzava la crisi della lira e
con essa il rischio di insolvenza da parte di uno
Stato sempre più in bolletta. Gli italiani di quel sistema di
potere corrotto, ormai ne conoscevano i dettagli. E
davanti al Raphael ad attendere Craxi quel 30 aprile
1993 non ci fu – come egli si aspettava – il
reverenziale plauso dei suoi accoliti, ma l’ira di
normali cittadini e tanti socialisti (veri) a
ricordagli che aveva fatto strame del partito dei
Turati, dei Costa, dei Lombardi e dei Nenni. Non era antiparlamentarismo
quella manifestazione del 30 aprile 1993. Né quella,
né le altre di quegli anni, come qualcuno oggi
ancora va blaterando. Ma desiderio di salvaguardia
della legalità costituzionale nelle istituzioni e
nella società. Il Parlamento, qualche mese
dopo, il 12 ottobre 1993, con nessun voto contrario
avrebbe abolito l'immunità parlamentare. Craxi fu
processato e condannato in via definitiva per
finanziamento illecito: 4 anni e 6 mesi per le
tangenti della metropolitana milanese; 5 anni e 6
mesi per quelle dell’Eni-Sai. Per sottrarsi alla giustizia, si
rifugiò nella sua lussuosissima villa in Tunisia, da
cui controllava anche il suo ingente patrimonio
liquido. Oltre 150 miliardi delle lire sparsi in
diversi conti esteri e intestati a suoi prestanome.
Questo anche scoperchiava Tangentopoli. Un’intera classe dirigente
veniva spazzata via. Era il crollo della prima
Repubblica, e si passava alla Seconda, come si
disse. Ma il craxismo seminato intanto
fruttificava nel “giardino” di Berlusconi che,
grazie alle concessioni televisive che proprio Craxi
aveva contribuito ad appaltargli, diventava il
dominatore di un’Italietta impoverita e imbibita
dalla fascinazione del giocoliere mediatico, che
intanto sfornava leggi ad personam per l’impunità
sua e della sua coorte di amici vecchi e nuovi. La morte liberò Craxi da
altri processi in atto per i ricorsi contro le
condanne cumulate nei primi gradi di giudizio
(Maxitangente Enimont” 3 anni per finanziamento
illecito, Tangenti Enel 5 anni e 5 mesi condanna per
corruzione; Banco Ambrosiano - bancarotta
fraudolenta 5 anni e 9 mesi per il Conto Protezione)
Per non parlare delle prescrizioni introdotte dal
nuovo corso controriformista che cassarono molti
altri procedimenti: dall’ All Iberian , alla “Milano-Serravalle”...
fino alle “cooperzioni per Terzo Mondo”. Francesco Saverio Borrelli nel
1999 aveva lasciato il suo ruolo in Mani pulite,
assumendo la carica di Procuratore Generale presso
la Corte d'Appello di Milano, che ricoprì fino al
2002. Ed è questo l’anno del pieno
successo di Berlusconi, che al suo secondo mandato
come presidente del Consiglio dei Ministri, portava
l’assalto alle stesse garanzie democratiche
costituzionali. Contro tutto questo, formidabile
l’imperativo morale lanciato da Francesco Saverio
Borrelli nella sua ultima relazione inaugurale
dell’anno giudiziario (sarebbe andato in pensione il
successivo aprile): «Ai guasti di un
pericoloso sgretolamento della volontà generale, al
naufragio della coscienza civica nella perdita del
senso del diritto, ultimo, estremo baluardo della
questione morale, è dovere della collettività
resistere, resistere, resistere come su una
irrinunciabile linea del Piave».
Quel resistere resistere resistere, lo scandì
con voce chiara e forte. Sapeva che non sarebbe
caduto nel vuoto. Quell’Italia onesta e retta che
ieri come oggi non piega la testa alle ingiustizie e
al sopruso esiste. E continua a vedere in Francesco
Saverio Borrelli il signore retto e rigoroso,
sensibile e integerrimo, che non guardava ai
riflettori mediatici, ma alla luna, che anche nella
notte più buia rischiara il cammino. Anche su MicroMega
http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/?p=27583
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