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Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
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Lunga vita alle donne L'aspettativa di vita
per le donne è di gran lunga maggiore di quella
degli uomini. È quanto afferma lo studio
scientifico della David School of Gerontology
della University of Soutern California (USC). Le
donne sanno sfruttare meglio degli uomini
prevenzione e diete. di Patrizia Larese
«Le donne vivono più a
lungo degli uomini». Non è un modo dire, ma
un’affermazione comprovata da numerosi studi
scientifici, realizzati in qualificate
università e prestigiosi centri di ricerca del
mondo. Le donne sono
destinate ad avere una vita più lunga, così
riferisce uno studio pubblicato quest’anno sulla
rivista scientifica Lancet, a cui ha
collaborato anche l’Imperial College di
Londra. Nel 2030 le sud
coreane supereranno i 90 anni, saranno i primi
esseri umani al mondo ad avere raggiunto
un’aspettativa di vita media così elevata. Una
neonata sud-coreana del 2030 potrà aspettarsi di
vivere 90 anni e otto mesi, rispetto agli 84
anni e due mesi di una sua connazionale,venuta
al mondo nel 2010. Ciò significa che, per quanto
riguarda la Corea del Sud, nello spazio di una
generazione, circa due decenni, l’aspettativa di
vita media crescerà di sei anni. Il fenomeno,
sottolinea il rapporto Lancet, è analogo
ovunque, con un incremento medio dell’esistenza
umana da 3 a 5 anni e, grazie alla medicina
moderna, la durata della vita umana è cresciuta
più nell’ultimo secolo che in milioni di anni. In campo femminile,
dopo le sud-coreane, nel 2030 i Paesi più
longevi saranno nell’ordine: la Francia (88,5
anni), il Giappone (88,41), la Spagna (88,07),
la Svizzera (87,70), l’Australia (87,57), il
Portogallo (87,52), la Slovenia (87,42),
l’Italia (87,28) e il Canada (87,09). Tra gli
uomini, la classifica dell’aspettativa di
longevità vede in testa di nuovo la Corea del
Sud (84,07 anni), seguita da Australia (84),
Svizzera (83,95), Canada (83,89), Olanda
(83,69), Nuova Zelanda (83,59), Spagna (83,47),
Irlanda (83,22), Norvegia (83,16) e Italia
(82,82). Il Bel Paese è dunque
tra le prime dieci nazioni con la più alta
aspettativa di vita, sia tra le donne sia fra
gli uomini. Secondo lo studio di Lancet, i Paesi
che si trovano ai primi posti nella graduatoria
si distinguono per avere una buona istruzione ed
una efficiente sanità pubblica, un regime
alimentare salutare ed uno stile di vita non
sedentario. Gli autori della ricerca pongono in
evidenza il fatto che è importante per una
nazione avere validi programmi educativi e
sportivi che inducano i giovani a praticare
attività fisica. Gli ‘investimenti’
fatti all’inizio della vita risultano decisivi
nella parte conclusiva dell’esistenza. La longevità delle
donne Un altro studio
scientifico, pubblicato sulla rivista PNAS,
realizzato da un team internazionale di
ricercatori, afferma che tuttavia resta un
problema irrisolto: non è ancora stato colmato
il divario tra la longevità degli uomini e
quella delle donne. Il gentil sesso vive più a
lungo, sia che si tratti di esseri umani, sia
che si faccia riferimento ad altri primati
quali: lemuri, scimmie cappuccini, scimmie
murichi, babbuini, scimpanzé e gorilla, seguiti
e studiati per un periodo compreso fra tre e
cinque decadi. L'aspettativa di vita
per le donne, molto superiore rispetto a quella
per gli uomini, è un fenomeno demografico emerso
per la prima volta tra le persone nate alla fine
dell'Ottocento. Uno studio scientifico
della David School of Gerontology della
University of Soutern California (USC) ha
analizzato la questione in maniera sistematica,
evidenziando come nell’individuo di sesso
maschile la maggiore predisposizione allo
sviluppo di malattie cardiache rappresenti il
principale fattore responsabile della minore
longevità rispetto al sesso femminile. Gli
scienziati, analizzando 1763 persone nate tra il
1800 e il 1935 in 13 Paesi sviluppati, hanno
osservato che, in quell’intervallo di tempo, si
è verificato un crollo dei tassi di mortalità.
Il gruppo di ricerca ha scoperto che nei
soggetti nati dopo il 1880, i tassi di decesso
nel sesso femminile erano diminuiti più
rapidamente del 70% rispetto a quelli relativi
al sesso maschile. In base ai dati raccolti a
partire dal 1890, i ricercatori hanno
evidenziato che le patologie legate al consumo
di tabacco hanno contribuito per il 30% alla
differenza tra la mortalità maschile e quella
femminile. Le patologie cardiovascolari hanno un
diverso impatto sulla mortalità nell’uomo
rispetto alla donna, in particolare durante la
mezza età e l’inizio dell’età anziana. Alcuni motivi che
hanno portato a un minor numero di decessi sono
stati la prevenzione delle malattie infettive,
il miglioramento delle diete e, in generale, le
migliori condizioni di vita. Secondo il parere
degli scienziati, le donne sono riuscite a
sfruttare questi benefici in modo più efficiente
e veloce rispetto agli uomini. I determinanti sociali
di salute In Europa si osserva
una sempre minore aspettativa di vita mano a
mano che si procede dal versante occidentale a
quello orientale, dove i servizi sanitari non
sono ancora completamente sviluppati. Secondo il Rapporto
Globale sullo stato delle malattie non
trasmissibili (Global status report on
non-communicablediseases – NCD - 2017)
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
ogni anno 40 milioni di persone, circa il 70%
dei decessi globali, muoiono a causa di queste
infermità. I decessi sono
attribuibili a malattie croniche cardiovascolari
circa 17.7 milioni, tumori 8.8 milioni, malattie
respiratorie 3.9 milioni, diabete 1.6 milioni.
Queste patologie, tipiche di tutte le società
sviluppate, portano a morti premature e le cause
sono complesse: genetiche, ambientali e
comportamentali. Uno stile di vita insalubre con
alimentazione scorretta, scarsa attività fisica,
fumo, alcol rappresentano un notevole rischio
per una malattia seria con conseguente morte
precoce. Gli stili di vita,
così come i fattori di rischio, risentono
fortemente dei determinanti sociali di salute,
parametri che possono essere raggruppati in
varie categorie: comportamenti personali,
fattori sociali che possono rivelarsi un
vantaggio o uno svantaggio, condizioni di vita e
di lavoro, accesso ai servizi sanitari,
condizioni generali socio-economiche, culturali,
ambientali e fattori genetici. La relazione fra
determinanti sociali, malattie e lunghezza della
vita è fondamentale. Il rapporto dell’OMS
ogni anno mette in evidenza che, accanto al
fattore ‘bio-medico’, teso esclusivamente
all’individuazione delle cause biologiche della
patologia, occorre considerare la salute come un
fenomeno sociale, che deve essere inserito
all’interno di analisi riguardanti la giustizia
sociale. Giuseppe Costa nel
libro L'equità nella salute in Italia.
Secondo rapporto sulle disuguaglianze sociali in
sanità (Franco Angeli Editore 2014)
dichiara: «Tra le donne in Italia negli anni
Duemila si osservano più di 5 anni di svantaggio
nella speranza di vita tra chi è rimasta in una
posizione di operaia non qualificata rispetto a
chi è approdata a una posizione di dirigente,
con aspettative di vita progressivamente
crescenti salendo lungo la scala sociale. Il
rischio di morire cresce regolarmente con
l’abbassarsi del titolo di studio. Fra le donne
fatto uguale a uno, il rischio di una laureata,
la mortalità cresce del 16% in chi ha raggiunto
solo la maturità, del 46% in chi ha un titolo di
scuola media e del 78% per chi ha fatto solo le
elementari. Questo fenomeno si ripete anche tra
gli uomini e riguarda tutti gli indicatori di
salute: ammalarsi, restare a lungo con la
malattia e con le sue conseguenze, finire male a
causa della malattia». Alla stessa
conclusione sono giunti i ricercatori
dell’ISTAT, secondo cui lo svantaggio per titolo
di studio in termini di tasso di mortalità ha un
gradiente che aumenta al diminuire del titolo di
studio. La prevenzione In Italia negli ultimi
10 anni si è assistito ad una crescente
diffusione di comportamenti preventivi tra le
donne nei confronti dei tumori al seno e al
collo dell’utero. Se si considera la
popolazione target per lo screening cervicale
(donne di 25-64 anni), si stima siano 11 milioni
600 mila le donne che nel 2004-2005 hanno fatto
ricorso almeno una volta nel corso della vita a
un pap-test in assenza di disturbi o sintomi
(pari al 70,9% della popolazione femminile della
stessa età). L’ISTAT, a seguito di
queste ricerche, sottolinea che occorre
sensibilizzare maggiormente le donne con un
livello culturale non troppo elevato. Nel 2016, il Lazio, in
particolare, si è rivelata la regione più
virtuosa nella prevenzione e nella lotta ai
tumori.La percentuale di mammografie effettuate
negli ultimi 3 anni è aumentata del 40%, quella
dei tumori alla mammella diagnosticati e operati
negli ultimi 3 anni è salita del 68%. Anche oggi, le donne
battono gli uomini per maggiore riguardo alla
prevenzione e per una più sollecita attenzione e
cura del proprio benessere e stile di vita.
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