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Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
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Referendum costituzionale arriva
il NOrenziDay
di Maria Mantello
Intervista a Stefano d’Errico
(Segretario nazionale Unicobas) a margine del
convegno “dalla decostituzionalizzazione della
scuola alla deforma della Costituzione Nel
contesto del prossimo referendum costituzionale si
inquadra il convegno che si è tenuto il 12 ottobre
nell’aula magna dello storico liceo romano Terenzio
Mamiani “Dalla decostituzionalizzazione della scuola
alla deforma della Costituzione” per spiegare il
filo conduttore di quella bulimia riformista che si
è abbattuta sul nostro paese e che ha visto
progressivamente minare la scuola statale nella sua
funzione di organo costituzionale. Una politica che
viene da lontano e di cui la revisione
costituzionale sembra essere la chiusura del
cerchio. Quale il significato di questo
convegno e l'impegno culturale - politico - sociale
del sindacato? Il Convegno organizzato
dall’Associazione ‘Unicorno – l’AltrascuolA’ e dall’Unicobas
risponde alla necessità di investire l’energia
mostrata dal mondo dell’istruzione pubblica nella
lotta plebiscitaria e nella campagna referendaria
contro la ‘cattiva scuola’ di Renzi, in una
battaglia di civiltà contro il tentativo - se
vincono i sì al referendum del 4 dicembre - di
stravolgere la Costituzione repubblicana a vantaggio
di un progetto di premierato assoluto. Occorre smantellare gli
infingimenti renziani. Occorre votare No perché
persino secondo la ragioneria generale dello stato
il risparmio dei “costi della politica”, tanto
propagandato, è di soli 58 milioni e non di 500,
come, mentendo sapendo di mentire, ha dichiarato il
Presidente del Consiglio; perché la seconda camera
(Senato), resta con esponenti del localismo
territoriale che assurti a senatori sono finanche
blindati nell’immunità, così che un qualsiasi
sindaco diverrebbe intoccabile; perché un partito
col 15-20% (o anche meno – grazie all’Italicum)
si potrebbe portare a casa una maggioranza assoluta
in Parlamento. Allora se si tratta di risparmio,
sarebbe bastato ridurre il numero globale dei
parlamentari e le loro lautissime prebende. Oppure
ad esempio tagliare gli stipendi super milionari dei
super-dirigenti Rai. L’accusa molto forte che voi
fate è nel tradimento della Costituzione “materiale”
riguardo alla libertà d’insegnamento e
apprendimento... Sulla Scuola, l'art. 117 del
testo approvato, al comma n) «disposizioni generali
e comuni sull’istruzione; ordinamento scolastico;
istruzione universitaria e programmazione strategica
della ricerca scientifica e tecnologica», segna la
fine della libertà di insegnamento, avocando al
ministro dell’Economia pro-tempore persino le scelte
strategiche in materia di istruzione e, come ricorda
il comma successivo, anche di previdenza, nonché
«tutela e sicurezza del lavoro; politiche attive del
lavoro; disposizioni generali e comuni
sull’istruzione e formazione professionale». Nel mezzo dell’attacco ai
beni comuni, stiamo assistendo all’arruolamento
della Scuola (non più) pubblica ai diktat
meramente economici, feroci e brutali del
neoliberismo. Per questo l'Unicobas è anche
impegnato nella costruzione di un percorso che
rimetta al centro la socialità di cultura e diritti.
A questo fine con l'Unione Sindacale di Base e
l'Unione Sindacale Italiana, siamo impegnati nella
costruzione di una due giorni per il 'No sociale'. È chiaro che per vincere lo
scontro referendario occorre essere presenti su di
un terreno molto più 'materiale'. Le questioni
politico-sociali-sindacali diventano così il corpo,
la sostanza delle regole democratiche, come i
costituzionalisti ben sanno. Del resto - per fare
qualche esempio - non dimentichiamo, che lo
stravolgimento definitivo della Costituzione scritta
giunge dopo il progressivo impoverimento dei
diritti: dal lavoratore in affitto ('pacchetto'
Treu) all’eliminazione dell’art. 18. Insomma il referendum
costituzionale occasione storica per rimettere al
centro le lotte sociali. Di qui la vostra
proclamazione del 'NO Renzi day' ? Se questa contro la revisione
costituzionale è la 'madre' di tutte le battaglie,
allora che sia un No complessivo a tutte le
politiche decostituzionali di questo governo, un No
a precarietà e disoccupazione giovanile, alla
vergogna degli esodati, al mutuo per la pensione,
all'eliminazione dell'art. 18, all'iper-tassazione
sul lavoro dipendente e all'evasione fiscale per i
ricchi, allo strapotere delle banche e della finanza
speculativa europea, alla UE dei muri e dello
sfruttamento per i migranti, allo stato di guerra
permanente generato dai grandi e sporchi interessi
delle multinazionali. Il 21 ottobre sarà sciopero
generale e generalizzato, non solo per tutte le
categorie del mondo del lavoro (e del non-lavoro):
vogliamo che sia uno sciopero sociale (costruito da
una fitta rete di base). Nella mattina di questa
giornata il mondo della Scuola, settore prescelto
dagli attacchi renziani, si ritroverà per
manifestare sotto il Ministero dell'Istruzione, a
Roma, in Viale Trastevere. Dal pomeriggio saremo in
piazza di S. Giovanni, con gazebo, spazi tematici,
concerti, animazione, fino a realizzare una vera e
propria 'acampada', tenendo la piazza anche di notte
con altre attività di controinformazione. Saremo
quindi a S. Giovanni anche la mattina del giorno
successivo, il 22 ottobre, in attesa dei pullman che
arriveranno da tutta Italia fino a che, intorno alle
14.00, partirà il corteo per il NO Renzi day,
una manifestazione unitaria e inclusiva nella quale
attendiamo tutto il popolo del No con la sua
ricchezza nelle varietà e la sua determinazione:
tanti movimenti, associazioni e partiti impegnati
con noi nella preparazione della giornata. Un riappropriarsi della politica
contro la crisi di rappresentatività della
ufficialità politica? Nella generalizzata crisi dei
partiti, il sindacato diviene, se possibile, ancora
più decisivo. Il nostro è il tentativo di affermare
un sindacato di progetto, che non delega a fonti
esterne l’ordine del giorno di un necessario,
decisivo ribaltamento dei rapporti di forza e della
costituzione materiale dominante imposta dal
neo-liberismo. Non possiamo dimenticare come
anche molti settori dei sindacati tradizionali sono
diventati sempre meno credibili anche perché hanno
offerto supporto ad operazioni politiche ‘esterne’
in conflitto col mondo del lavoro (nel mondo della
scuola questo processo è stato evidente). La crisi della
rappresentanza è crisi generale. Ma già l’ottica
sindacale “tradizionale” faceva acqua da tutte le
parti: il progetto ‘politico’ veniva (e continua a
venire) da fuori, lo elabora(va) appunto una
rappresentanza istituzionale - il ‘partito’ (ammesso
che esista ancora), - o un gruppo dirigente
‘autonomo’ (oggi peraltro neppur più segnato
idealmente, bensì sempre più interno a logiche
affaristiche e di casta), avulso dallo specifico
della funzione, composto di distaccati e mestieranti
privilegiati a vita. Il sindacato dovrebbe essere
prima di tutto progetto e coesione etica fra
lavoratori, espressione degli interessi diretti dei
lavoratori, indipendentemente dalle tessere di
partito. Deve tornare a seguire il 'programma
minimo' dettato dai bisogni del mondo del lavoro ed
al tempo stesso essere espressione di una società
civile i cui interessi generali in materia di
welfare e bene pubblico sono sempre più opposti
a quelli dei gruppi dominanti. Approfondiamo la
questione del nesso tra “decostituzionalizzazione”
della scuola e “deforma” della Costituzione,
tema del convegno del 12 ottobre?
In primis vediamo un nesso
autoritativo. Come è scritto nell’appello del
Comitato Nazionale per il No: «Di
entrambe ci allarmano tanto il metodo sbrigativo con
cui sono state promulgate (con la demagogia del
finto ‘ascolto’), quanto il merito delle questioni,
da cui emerge il quadro di un paese deprivato non
solo sul piano economico. Al potere concentrato
nelle mani del dirigente scolastico, allo
svuotamento degli organi collegiali e alla
frantumazione della comunità educante e del sistema
nazionale d’istruzione, corrispondono il
concentramento dei poteri nelle mani del Governo,
l’umiliazione del Parlamento, dunque, la sottrazione
di sovranità popolare». Nella legge 107
(“Buona scuola”), il primo vulnus
costituzionale è rappresentato dal nuovo ruolo
assegnato al dirigente scolastico, posto a
presiedere il 'Comitato di Valutazione', che
non potrà mai ricoprire una posizione 'terza' perché
interno alle dinamiche di gruppo presenti
nell’Istituto scolastico. Una cosa esclusa ‘ab
origine’ da qualsiasi serio manuale di
Psicologia, e che non avviene in nessun paese del
mondo. Risulta poi davvero carente ogni previsione
sul chi e come 'valuterebbe' questi 'selezionatori'. Perché
nella valutazione dei docenti individuate un
vulnus costituzionale? I criteri indicati dalla
legge per la valutazione dei docenti sono
semplicemente ultra-generici e non creano argini
alla pressoché totale discrezionalità del dirigente,
indipendentemente persino dai criteri indicati dal
comitato di valutazione della sua scuola. La
discrezionalità assoluta è tipica dei sistemi
totalitari ove la funzione docente è al servizio
della casta dominante. Nella scuola si vogliono
ridurre i presidi a funzionari compiacenti, come
avviene nelle private. Ricordiamo in proposito ai
fautori del ‘nuovismo’ renziano, che la nota
di “qualifica funzionale per merito distinto” venne
introdotta in Italia dal fascismo: tramite
questa descrizione particolareggiata dell’iter
personale e comportamentale (più che pedagogico) dei
docenti, Mussolini chiedeva ai presidi dell’epoca di
segnalare chi non fosse in linea col regime. Questa
nota venne eliminata solo nel 1974 dai DdPpRr 416 e
417. Negli archivi dei vecchi provveditorati esiste
tutta una preziosa letteratura sull’uso fantasioso
di queste “note”, opera dall’ala ‘creativa’ di quei
presidi, che ancora nella prima metà degli anni ’70
riferivano della riprovevole usanza di talune
insegnanti d’indossare “gonne che non coprivano il
ginocchio”. Il ‘duce’ aveva però
dimenticato, nell’italietta delle piccole e grandi
lobbies familistiche e mafiose, delle
tangenti, dei clericalismi integralisti (o di
comodo) e degli inciuci, di fornire un portafoglio
ai suoi capi di istituto. Bene, Renzi ha trovato
rimedio a questa lacuna: stanzia 14.000 euro netti
da devolvere ad libitum, ad uno o più
docenti. Inoltre, solo a causa di un incidente di
percorso, la Camera dei deputati è inciampata in un
emendamento che rende impossibile ‘promuovere’
economicamente, con l'assunzione diretta nel proprio
istituto, mogli & affini (come invece avviene nelle
Università). Ma naturalmente alla cosa si può
ovviare con l'incrocio delle 'conoscenze'. Peraltro,
grazie alla facoltà di scegliere dall’organico
territoriale, in aggiunta ad un incremento salariale
ottenuto tramite la scelta di ‘merito’, questo
‘scambio’ potrebbe avvenire ugualmente,
aggiungendovi addirittura la stabilizzazione sul
luogo di lavoro, anche con figli e parenti (se presi
in carico da qualche ‘amico degli amici’). Ecco
quindi il ‘senso’ della 'figura
esterna' a cui prima accennavo: membro di diritto del
Comitato di Valutazione, un secondo dirigente,
coartato dalla Direzione Scolastica Regionale, che
si vorrebbe 'super partes'. Approfondiamo l’aspetto della
costituzionale della libertà d’insegnamento e del
diritto allo studio? Gli
insegnanti non sono 'lavoratori subordinati'. La
libertà d’insegnamento è un diritto indisponibile,
che non avrebbe
potuto subire modifiche senza precedenti vulnus
alla Costituzione.
Venendo scelti da un dirigente scolastico, gli
insegnanti diventano invece meri
esecutori dei diktat del
'Capo', alla stregua di semplici impiegati, per di
più ricattabili
da genitori ed alunni chiamati nel comitato
per la retribuzione ‘premiale’. È la fine della
cooperazione educativa. Del resto il ddl non si cura di potenziare il diritto allo studio, imponendo invece agli studenti un mero apprendistato, fissando addirittura un minimo di 400 ore annue (da detrarsi dallo studio dei saperi critici) pro-capite negli istituti tecnici e professionali (e ben 200 nei Licei), perché vengano introiettate in loro 'competenze' esecutive. L’addestramento sostituisce la scuola del pensiero critico, il minimalismo i saperi, molto utile all'impresa perché formerà le nuove 'leve' in ordine alle immediate necessità produttive. Sempre che, nel trend tipico della globalizzazione, le 'competenze' necessarie al mercato non siano mutate con la velocità del lampo. Un bel regalo a Confindustria e
al Vaticano? Certamente,
tanto più che il dominio unilaterale e discrezionale
sulle 'risorse' umane e professionali delle
scuole produce ulteriori disparità
fra istituto ed istituto, consegnando la definizione delle
linee-guida (“Piano triennale dell’offerta
formativa”) e la gestione
(chiamata diretta e valutazione docenti)
del progetto
educativo della Scuola pubblica ad una sola
persona, ‘spacchettando’ in modo inaccettabile
l’intero piano formativo, che diviene in tal modo
‘cosa del preside’, trasformato in strumento
del Ministro dell’Istruzione. Un dispositivo del genere porta
inevitabilmente anche nell'istruzione pubblica la
logica delle scuole di tendenza: come la
mette la ‘nuova’ scuola ‘pubblica’ di Renzi con uno
dei tanti presidi che non amano si parli d’altro che
del ‘creazionismo’ ed hanno in odio la teoria del
‘big bang’, a fronte dei poteri incondizionati che
il decisionista al comando gli ha attribuito?
Si potrebbe dire, che dopo gli ingenti e crescenti finanziamenti alle scuole private (nel nostro paese in stragrande maggioranza cattoliche), che però continuano ad essere in crisi di iscrizioni - tanto da essersi trasformate in alberghi e polisportive (così pagano quasi nulla di imposte e tasse) - si cerca di irreggimentare nell’ideologia religiosa attualmente dominante (la cattolica) la scuola statale. Ma la libertà d’insegnamento non
è compressa anche nel demansionamento dei docenti? Basta dire che i neo-assunti sono costretti a far valere i propri diritti (e, finalmente, la loro fattiva opposizione alla L. 107), ricorrendo contro i numerosi demansionamenti su cattedre per le quali non sono abilitati o sulle supplenze, in difesa della qualità della didattica e del rispetto della professionalità degli insegnanti. Vi sono diecimila ‘novizi’ spediti addirittura su ordini e gradi di scuola diversi da quelli per i quali sono abilitati, insegnanti di italiano, latino e greco mandati in istituti comprensivi a far supplenze persino nella Scuola dell’Infanzia: il silenzio totale (o quasi) dei media su questo la dice lunga su quanto giornali, radio e televisioni siano sempre più proni al Governo. Il ruolo costituzionale del
sindacato viene penalizzato dalla revisione della
Costituzione? La controriforma costituzionale ricalca gli stessi passaggi sperimentati dal 1997 in materia di diritti sindacali. Persino il ‘supermaggioritario’ è stato largamente sperimentato innanzitutto in materia di rappresentanza sindacale. Purtroppo non possiamo più parlare di 'ruolo costituzionale' del sindacato. Sino al '97 le norme richiedevano ai sindacati il raggiungimento della soglia del 5% dei voti validi nelle elezioni di categoria (Consigli di Amministrazione dei Ministeri e Consigli della Pubblica Istruzione, nazionale e provinciali, per la Scuola). Nel periodo intercorrente fra un'elezione e l'altra il calcolo veniva, con un tetto analogo, operato sui sindacalizzati. Il raggiungimento del 5% su lista nazionale significava per le organizzazioni di comparto poter sedere al tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto nazionale di categoria e per le contrattazioni decentrate di primo livello; una soglia analoga su lista provinciale garantiva la partecipazione alle trattative decentrate locali o di singola "unità produtiva". La legge "Bassanini" del Novembre '97 (votata da un governo che si diceva di ‘centro-sinistra’) ha introdotto un meccanismo elettorale farsesco che impedisce la presentazione di liste nazionali, imponendo unicamente liste decentrate e delegando alle OOSS concertative la scelta del ‘rito’ elettorale. Questi nella scuola impongono la presentazione di una lista per ogni singolo istituto, mentre le regole negano solo ai sindacati non ancora ‘maggiormente rappresentativi’ persino il diritto di assemblea in orario di servizio di modo che non si possano trovare i candidati ed i sottoscrittori necessari a presentare le liste né fare campagna elettorale. Va da sé che prevale la legge delle probabilità: meno liste si presentano, meno voti si possono raccogliere. Così i sindacati di base non potranno mai diventare ‘rappresentativi’. Se si fosse adottato qualcosa di simile per accedere al Parlamento non si consentirebbe di fatto la nascita di nuovi partiti. Nessuno accetterebbe mai il computo fra voti ed iscrizioni ai partiti elevato a regime. Oggi ci troviamo al paradosso per la rappresentatività sindacale, che un sindacato può anche avere il 60% delle deleghe su base provinciale e non essere ammesso a nessuna trattativa decentrata. In Italia si dibatte molto di federalismo, ma il federalismo è stato espunto dalla democrazia del lavoro. La Repubblica fondata sul
lavoro - come afferma l'art. 1 della Carta - ha il
significato alto di impegno dello Stato contro il
parassitismo. Le riforme in atto:
lavoro-scuola-costituzione non intaccano proprio
l'incipit della Costituzione nata dalla Resistenza ? Occorre avanzare una nuova
costituzione materiale che, senza illusioni, con le
lotte e la ripresa del conflitto sociale, rivendichi
l'applicazione di quel 'diritto al lavoro' sul quale
si fonda la Carta nata dalla Resistenza. Più
che ‘rinegoziare’, occorre ribaltare i rapporti di
forza, senza i quali tutto è ‘lettera morta’ e mera
petizione di principio. Non ci sono scorciatoie.
Contro le politiche di compromesso (al ribasso), che
hanno concorso a spingerci sulla china del ‘medio
evo prossimo venturo’; abbandonata, d’altro canto
ogni velleità totalitaria, elitaria e di casta,
occorre ricostruire una sinistra plurale, socialista
e libertaria che viva nella società civile molto più
che nel ‘palazzo’. Una sinistra capace
finalmente di affermare una nuova politica a guida
etica ed umanitaria, ma anche di intransigenza su
tutte le libertà ed i diritti fondamentali,
capace infine di abbandonare nelle discariche della
storia ogni velleità machiavellica (perché non è
vero che ‘il fine giustifica i mezzi’), ma anche le
facili presunzioni ed il dilettantismo della moda
‘antipolitica’ e ‘post-ideologica’.
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