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Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
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In nome del padre, lapidata davanti al tribunale in Pakistan di Maria Mantello
Il rito tribale del “sia lapidata” si è rinnovato in Pakistan. In tutta la sua arroganza sfacciata il mix feroce etnico-religioso ha armato l’orda familiare, capeggiata dal patriarca, il padre padrone indiscusso, il cui potere veicola soprattutto attraverso il controllo delle sue donne, delle sue figlie che gli devono tributare obbedienza e sottomissione assoluta. E quando questo non accade chiama a raccolta la tribù dei maschi di famiglia, nella sicurezza di farla alla fine franca, perché comunque il delitto d’onore (karo-kari) resta una “legale” questione familiare. Oggi a me domani a te: il sangue di una donna lava il disonore familiare, oggi capita a una famiglia, domani a un'altra. Oggi a me domani a te... meglio perdonarsi vicendevolmente, così magari si evita anche il carcere. Onore e famiglia si chiama questa legge del clan patriarcale, perché la donna resti innanzitutto figlia da dare (vendere) in sposa a chi il padre padrone sceglie per lei, quando addirittura è bambina. Dal padre al marito, per ordine del padre! Perché il modulo di proprietaria sottomissione al maschio non si incrini, non si adulteri. Ma anzi si mantenga ben saldo di fronte alle contaminazioni occidentali che portano tanti giovani ad emanciparsi dalla legge del padre.
Farzana Parveen aveva violato la legge del padre, scegliendosi il compagno che voleva. Era diventata “adultera” per il codice d’onore della stirpe clan, per questo è stata lapidata il 27 maggio. «Ho ucciso mia figlia poiché lei aveva insultato tutta la nostra famiglia sposando un uomo senza il nostro consenso, e non ho nessun rimpianto per questo», ha detto Mohammad, il padre assassino con orgogliosa spudoratezza alla polizia che lo ha arrestato. Sfrontatamente, perché sa di titillare la corda profonda dell’arcaica condivisione sociale del delitto d’onore. Il padre padrone aveva ordito l’agguato proprio davanti al tribunale di Lahore, dove la ragazza e suo marito erano in attesa di testimoniare che non c’era stato nessun rapimento, come il patriarca aveva cercato di far credere, perché avevano liberamente scelto di sposarsi. Liberamente, ecco il sacrilegio da punire, cancellare nel sangue. Venti maschi di famiglia tra fratelli e cugini di cugini, stesso sangue maschio, hanno rinnovato il primato del potere nutrendosi del sangue delle donne che quella legge della razza maschia padrona infrangono. Oggi è toccato Farzana, una delle centinaia di donne che cadono per femminicidio in Pakistan ogni anno. L’hanno assassinata davanti al tribunale, rituale nel rituale, perché tutti vedessero cosa capita alla figlia che disobbedisce. Perché tutti vedessero che assoluta è solo la legge del ghenos. Colpita da grossi mattoni e poi finita a randellate, della ragazza è stata fatta poltiglia. Un grazioso sandaletto rosa, che Farzana Parveen aveva perso inciampando, mentre cercava di sottrarsi ai suoi carnefici, è restato però intatto sull’asfalto, testimonianza gentile, vezzosa, garbata di una vita di donna stroncata nella lotta per il diritto all’emancipazione e all’autodeterminazione degli individui.
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