VOGLIONO ELIMINARE LA FILOSOFIA
Il piccolo, ma agguerrito, mondo della filosofia italiana
- quella che con qualche ridondanza si denomina "teoretica"
- è in comprensibile fermento. In base ad una recente
normativa tale materia è stata eliminata dalle tabelle disciplinari
di vari corsi di laurea, come quelli di Pedagogia e di Scienze
dell'Educazione, con la singolare motivazione che si tratta di una
disciplina troppo specialistica. E che dunque dove si educano gli
educatori non c'è alcun bisogno di essa. Ma c'è di peggio. Sta
prendendo corpo il progetto, già sperimentato in alcuni licei, di
abbreviare il ciclo delle scuole secondarie a quattro anni, con la
conseguente riduzione dell'insegnamento della filosofia a due.
L'idea, del resto, non è nuova. Già alla fine degli anni Settanta si
pensò di cancellare lo studio della filosofia dalle scuole,
sostituendola con le scienze umane. Ci volle la ribellione dei
professori di filosofia dei licei - molti dei quali
preparati e motivati - per scongiurare simile,
sconcertante, trovata.
Che tali progetti siano solo disegni degli staff di funzionari del
Ministero dell'Istruzione può essere. Sta di fatto che segnalano,
ancora una volta, la spaventosa carenza culturale di coloro che sono
preposti all'organizzazione della cultura in Italia. L'intenzione di
ridurre il rilievo della filosofia, schiacciandola ai margini dei
programmi scolastici e universitari, è la punta di un attacco
generalizzato al sapere umanistico in Italia. Ma in essa c'è
qualcosa di ancora più grave. Si vuole così occludere lo spazio dove
si forma lo spirito critico. Indebolire ogni resistenza a un diffuso
realismo in base a cui, qui o altrove, non c'è da prefigurare nulla
di diverso da quello che abbiamo sotto gli occhi.
Tale progetto è sbagliato per più di un motivo. Intanto perché la
filosofia, oltre che indispensabile di per sé, lo è nei confronti
degli altri saperi. Non perché, come a volte si dice, li collega in
un unico orizzonte, ma, al contrario, perché definisce le loro
differenze, misura la tensione che passa tra i vari linguaggi. In
quanto sapere critico, la filosofia impedisce la sovrapposizione di
questioni eterogenee, delinea i confini dentro i quali esse assumono
significato. Ma il suo ruolo non si esaurisce in una procedura
metodologica. Tutt'altro che chiusa su di sé, essa è sempre aperta
al mondo - alle sue potenzialità e ai suoi conflitti.
Tale è la sua funzione. La capacità, e anche il desiderio, di aprire
un confronto, in qualche caso uno scontro, rispetto a ciò che esiste
a favore di una diversa disposizione delle cose.
In questo senso la filosofia - anche e forse soprattutto
quella che si definisce "teoretica" - ha sempre un'anima
politica. Non, certo, nel senso di fornire prescrizioni o
indicazioni su cosa fare o come agire. Ma perché è situata lungo il
confine tra il reale e l'immaginario, il necessario e il possibile,
il presente e il futuro. Perciò essa è sempre in rapporto con la
storia. Non parlo solo della storia della filosofia -
pure indispensabile. Ma della storia nella filosofia. Il pensiero
non solo ha, ma è storia, perché consapevole del nostro limite. Di
quanto abbiamo, ma anche di quanto ci manca, dell'assenza che taglia
ogni presenza, della scissione che attraverso ogni unità.
È un'idea, questa, che congiunge tutti i grandi pensatori, da
Platone a Hegel e oltre. Il motivo per il quale, nonostante
l'apparente inutilità che spesso le viene rinfacciata, si continua a
praticare filosofia sta proprio nella coscienza che il suo compito è
inesauribile. Che restano sempre spazi inediti da aprire, vie nuove
da imboccare, opzioni diverse da sondare. Quando si è supposto che
così non fosse, che la verità era stata raggiunta e il percorso
compiuto, allora la filosofia è stata messa a tacere e i filosofi
sono stati banditi dalla città. Con i risultati che sappiamo.
Roberto Esposito