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Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
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BOIA CHI MOLLA, A VOLTE RITORNANO
“La forza è consenso. Non vi può essere forza se non vi è
consenso, e il consenso non esiste se non c’è la forza”. È solo
un esempio di pubblico esercizio di parolaio mussoliniano a cui
facevano seguito scattanti saluti romani in simultaneo tuonare
di eia eia eia, alalà.
Stilemi fascisti da parata e d’azione, schizzate di ribellismo spacciato per rivoluzione. Esaltazioni fideiste che hanno armato di manganello e olio di ricino gli squadristi ante marciam e post marciam, poi i torturatori delle tante bande criminali della Repubblica di Salò, e ancora i camerati traslati nell’MSI e i lori rampolli d’allevamento giovanilista che scandivano i «Boia chi molla è il grido di battaglia, contro il sistema la gioventù si scaglia»… Un motto, Boia chi molla, che rimbalzava dalle batterie degli ordininovisti all’eversione stragista. Un motto diventato il programma di Ciccio Messere. Grido di guerra per Reggio capoluogo o per la strategia della tensione… Un unico scopo: bloccare la democrazia e l’avanzata delle sinistre. Quel Boia chi molla, l’abbiamo risentito non senza un brivido di raccapriccio pronunciare dal deputato grillino Angelo Tofalo che inveiva contro la presidente della Camera Laura Boldrini il 29 gennaio, mentre lo spettro del Parlamento da trasformare in bivacco di mussoliniana memoria sembrava prendere corpo nell’aula sempre più sorda e grigia dove la parola si ergeva a insulto e il gesto a menar mani. Una sindrome da boia-chi-molla che legava in alleanza cameratesca 5 stelle e Fratelli d’Italia. Ma Mussolini non c’entra niente, giura Tofolo! Resosi conto (forse) dell’inopportunità di quel Boia chi molla l’onorevole deputato ha cercato di rimediare. E cercando soccorso in rete deve aver trovato che il motto “forse” – “si dice” – “potrebbe” essere attribuito alla grande eroina della Repubblica partenopea, Eleonora de Fonseca Pimentel. Ma i “si dice”, e i “potrebbe” non sono certezze, tantomeno verità storiche. Il motto-giuramento della Repubblica partenopea era Liberi o morire. Come la stessa Eleonora riportava sulle pagine del Monitore, il giornale da lei diretto. E questo motto rivoluzionario animerà tanto del nostro Risorgimento libertario e anticlericale per l’emancipazione dell’umanità dalla sudditanza mentale ed economica. I boia-chi-molla semina di morte a vantaggio di chi comanda, forse – potrebbero – chissà, essere più consoni ai Lazzaroni che chiedevano di avere la pancia piena e il cervello vuoto. Quel cervello della cui educazione al contrario si preoccupava Eleonora che si affannava ad aprire scuole per i figli del popolo schiacciati dall’ignoranza e dalla fame. Fu impiccata il 20 luglio del 1799 in Piazza Mercato a Napoli la rivoluzionaria Eleonora insieme ai suoi compagni che con lei avevano dato vita alla gloriosa Repubblica partenopea. Fu impiccata dopo che le tolsero le mutande perché il popolino e i lazzaroni potessero godersi lo spettacolo di una donna che era uscita fuori dal suo ruolo “naturale”. Le sue ultime parole furono un passo di Virgilio: Forsan et haec olim meminisse juvabit (Forse tutto questo gioverà un giorno ricordare).
Maria Mantello
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