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Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
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194, Importante sentenza della Cassazione sul
diritto della donna ad essere assistita.
La legge 194 arrivò nel 1978, dopo molti anni di dure lotte
delle donne.
Nel tentativo di mediare per l'approvazione, venne
introdotto il ricorso all'obiezione di coscienza. Ovvero il
medico si può rifiutare di praticare l'aborto volontario.
Un codicillo a cui spesso si appiglia
negli ospedali il personale
medico e paramedico anche al di là della pratica concreta
dell'invento di interruzione di grvidanza (chirurgico o
farmacologico che sia).
Così, attualmente, la donna che ricorre legalmente alla 194,
oltre a dover affrontare il suo dramma personale, vivere
l'angoscia di dover reperire un ospedale che la faccia
abortire (gli obiettori sono esponenzialmente aumentati come
sembra soprattutto per ragioni di carriera) deve anche
subire l'umiliazione e il pericolo per la sua salute di
essere abbandonata a se stessa, se magari si imbatte una
volta abortito, a cambio di turno, in un obiettore che in
quanto tale si sente autorizzato a negarle la dovuta
assistenza.
A condannare questa vergogna è intervenuta però
un'importante sentenza della Corte di Cassazione del 2
aprile 2013, che ha confermato la condanna a un anno di
carcere con interdizione dall'esercizio della professione
per un medico di guardia in un ospedale di Pordenone, che si
è rifiutato di dare l'assistenza ad una paziente che aveva
abortito e rischiava un' emorragia.
Ma di più, la sentenza della
Cassazione chiarisce che la legge 194 non prevede
l'obiezione nelle fasi precedenti e successive
all'interruzione volontaria di gravidanza. E precisa anche
che, in ogni caso, «il
diritto dell'obiettore affievolisce, fino a scomparire, di
fronte al diritto della donna in imminente pericolo a
ricevere le cure per tutelare la propria vita e la propria
salute».
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