Luigi Einaudi a
proposito di ore d'insegnamento
Da
vent'anni a questa parte le ore di fiato messe sul mercato dai
professori secondari sono andate spaventosamente aumentando.
Specie nelle grandi città, dalle 10 a 12 ore settimanali, che
erano i massimi di un tempo, si è giunti, a furia di orari
normali prolungati e di classi aggiunte, alle 15, alle 20, alle
25 e anche alle 30 e più ore per settimana. Tutto ciò può
sembrare ragionevole solo ai burocrati che passano 7 od 8 ore
del giorno all'ufficio, seduti ad emarginare pratiche.
A costoro può sembrare che i professori con le loro 20-30 ore di
lezione per settimana e colle vacanze, lunghe e brevi, siano dei
perditempo. Chi guarda invece alla realtà dei risultati
intellettuali e morali della scuola deve riconoscere che nessuna
jattura può essere più grande di questa. La merce «fiato» perde
in qualità tutto ciò che guadagna in quantità. Chi ha vissuto
nella scuola sa che non si può vendere impunemente fiato per 20
ore alla settimana, tanto meno per 30 ore. La scuola, a volerla
fare sul serio, con intenti educativi, logora. Appena si supera
un certo segno, è inevitabile che l'insegnante cerchi di perdere
il tempo, pur di far passare le ore. Buona parte dell'orario
viene perduto in minuti di attesa e di uscita, in appelli, in
interrogazioni stracche, in compiti da farsi in scuola, ecc.,
ecc. Nasce una complicità dolorosa ma fatale tra insegnanti e
scolari a far passare il tempo, pur di far l'orario prescritto
dai regolamenti e di esaurire quelle cose senza senso che sono i
programmi. La scuola diventa un locale, dove sta seduto un uomo
incaricato di tenere a bada per tante ore al giorno i ragazzi
dai 10 ai 18 anni di età ed un ufficio il quale rilascia alla
fine del corso dei diplomi stampati. Scolari svogliati, genitori
irritati di dover pagare le tasse, insegnanti malcontenti; ecco
il quadro della scuola secondaria d'oggi in Italia.
Non dico che la colpa di tutto ciò siano gli orari lunghi; ma
certo gli orari lunghi sono l'esponente e nello stesso tempo
un'aggravante di tutta una falsa concezione della missione della
scuola media .".
(Luigi Einaudi, Corriere della Sera, 21 aprile 1913).