La scuola statale produce eccellenze, ma continuano i tagli del Governo...

    

Nel catalogo delle spese pubbliche da tagliare, proposto oggi in prima pagina su "la Repubblica" dagli economisti Bisin e De Nicola, figurano, ça va sans dire, scuola e università.     La prima, colpevole di fornire un servizio "significativamente di qualità inferiore alla media Ocse"; la seconda, rea di produrre "poca ricerca". 

Come soluzione, si propone un bel piano di dismissioni e accorpamenti, unito ad una sana iniezione di competizione meritocratica, per esempio elargendo direttamente denaro alle famiglie che sceglieranno così la scuola "più adatta al proprio figlio", poichè naturalmente "un servizio per essere pubblico non deve essere necessariamente essere prestato da un operatore pubblico".

Vorrei semplicemente ricordare ai due esperti che, nella valutazione delle scuole italiane recentemente pubblicata dalla Fondazione Agnelli, in Lombardia, ad esempio (regione prodiga, con Formigoni, di generosi  buoni scuola per le famiglie) tra le prime 100 scuole classificate l'89% è statale e non privata, e che, come ci ricorda Francesco Coniglione nel suo "Maledetta università", tutte le università italiane presenti nei ranking internazionali sono statali, ad eccezione della Cattolica di Milano, mentre nessuna delle “prestigiose” università private (come Bocconi, LUISS, IULM, San Raffaele, ecc.) compare nei ranking internazionali tra le prime 500.

Scuola e università statali, che negli ultimi 4 anni hanno pagato un tributo altissimo ai tagli, offrono, a quanto pare, un percorso formativo di gran lunga migliore di scuola e università private, in Italia.

Nel catalogo dei tagli alla spesa pubblica, per favore, pensiamo piuttosto a eliminare il finanziamento delle scuole paritarie, nella stragrande maggioranza confessionali, e gli stipendi ai 15.000 insegnanti di religione cattolica, scelti e abilitati dalla Curia ma pagati dallo Stato.

 

Anna Angelucci