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Lo Statuto dei Lavoratori non si
tocca!
La legge 300, meglio conosciuta come Statuto dei diritti dei
Lavoratori, vedeva la luce il 20 maggio 1970.
Varata nel clima politico-culturale delle
lotte per l'emancipazione e la giustizia per tutti, faceva sì
che finalmente quei diritti, pur garantiti dalla Costituzione
Repubblicana, ma puntualmente disattesi nei posti di lavoro
attraverso regolamenti interni e misure repressive, divenissero
pratica democratica.
Finalmente si riconosceva che si è cittadini della Repubblica
Italiana sempre, proprio perché lo Statuto sanciva che la
dignità della persona e le sue libertà civili e democratiche non
possono essere messe tra parentesi sui posti di lavoro. Libertà
di pensiero, iscrizione a partiti, associazioni, sindacati, ecc.
non potevano più essere motivo di discriminazione, persecuzione,
fino alla perdita del posto di lavoro.
Il lavoratore è libero col lavoro e nel lavoro, proprio nella
misura in cui è riconosciuto il principio che fatti estranei
alla sua professionalità non possono più mettere in crisi la sua
sicurezza economica col ricatto del licenziamento.
Con la legge 300 si conquistava una fetta di libertà quotidiana
fondamentale, che dava al “pane quotidiano” il sapore forte
dell’emancipazione individuale e sociale. Nella dignità sul
lavoro e nel lavoro si realizzava una fondamentale conquista di
civiltà e di democrazia. La stessa laicità dello Stato ne era
più garantita, perché in fabbrica, negli uffici …, le diverse
visioni del mondo potevano confrontarsi: non ci si doveva
tappare la bocca per paura delle vendette del padrone.
E come ogni buona legge, essa introduceva un formidabile
deterrente affinché dignità e libertà del lavoratore fossero
rispettate, togliendo il lavoratore dal ricatto del
licenziamento come misura di ritorsione padronale. Di qui l’art.
18, che prevede l'obbligo del reintegro del lavoratore
licenziato senza giusta causa o giustificato motivo. In assenza
di queste condizioni - previste dalla legislazione sul lavoro-
nessuno può perdere il lavoro.
Lo Statuto dei Lavoratori non è allora un capriccio, un
puntiglio dei Sindacati, ma un baluardo contro gli assalti di
quelle aree imprenditoriali e forze politiche con loro
conniventi, che vogliono cancellare diritti e tutele dei
lavoratori faticosamente conquistati, nella speranza di
riportare i lavoratori ad una situazione da medioevo, dove i
padroni dell’industria e della finanza tornano a dominare con lo
sfruttamento masse di precari.
Allora il problema non è certo eliminare l’art.18, ma rafforzare
le politiche d’incremento del lavoro nella certezza del diritto
per tutti. In questo impegno vorremmo vedere all’opera il rigore
governativo. E sarebbe senz’altro un fatto di equità.
Maria Mantello