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Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" |
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194: il Tar boccia Formigoni
Bocciate le linee guida di Formigoni:
«Il termine delle 22 settimane contrasta con la legge nazionale»
Sanità - Per i giudici «è illogico che ogni
territorio disciplini la materia» Lombardia, bocciate dal Tar Bocciate le linee guida di Formigoni: «Il
termine delle 22 settimane contrasta con la legge nazionale» MILANO - «Le linee guida
che abbiamo adottato come Regione Lombardia non sono certo in
contraddizione con la legge 194 sull'aborto, anzi diventeremo un modello
per il resto d'Italia», si diceva sicuro nel 2008 il presidente Roberto
Formigoni a proposito delle disposizioni con le quali prescriveva che
l'interruzione volontaria di gravidanza fuori dai primi 90 giorni, in
caso di grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna, non
potesse essere effettuata oltre la 22ª settimana più 3 giorni (dopo la
quale presumeva la possibilità di vita autonoma del feto), e imponeva al
ginecologo di avvalersi di altri specialisti. Ma l'auspicio di Formigoni s'infrange ora
nella stroncatura del Tribunale amministrativo
regionale, che ha dichiarato «illegittima l'intera disciplina impartita
dalla Regione» per contrasto con la legge statale 194, e annullato la
delibera lombarda del 22 gennaio 2008. A ricorrere al Tar, facendo
leva sull'articolo 117 della Costituzione che riserva alla competenza
legislativa dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili o sociali da garantire su tutto
il territorio nazionale, erano stati 8 medici con Il Tar (presidente Giordano, estensore
Celeste Cozzi) premette che la legge sull'aborto del
1978 contempera la tutela giuridica del concepito (ricompresa
nell'articolo 2 della Costituzione sui diritti inviolabili dell'uomo)
con i casi nei quali può essere sacrificata se collide con la necessità
di evitare gravi pericoli alla salute della madre (articolo 32 della
Costituzione che impone di dare assoluta prevalenza al bene-salute di
una persona già nata): la legge fissa le condizioni al ricorrere delle
quali le prestazioni del servizio sanitario debbono essere rese affinché
i diritti di madre e nascituro possano essere tutelati. Ma «per determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni», ragiona il Tar, «non
deve intendersi esclusivamente l'individuazione degli standard
strutturali e qualitativi delle prestazioni, ma anche (e prima ancora)
delle condizioni cui è subordinato l'accesso a quelle prestazioni:
sarebbe del tutto illogico permettere che una materia tanto sensibile»
come l'aborto, che coinvolge scelte di fondo riguardanti valori
essenziali quali "vita" e "salute", possa essere disciplinata
differentemente sul territorio nazionale, lasciando che siano le Regioni
a individuare, ciascuna per il proprio territorio, le condizioni per
l'accesso alle tecniche abortive». In questa cornice il Tar boccia le linee
guida di Formigoni laddove, nel caso in cui la madre
non sia in pericolo di vita, ammettono l'aborto terapeutico solo se vi è
impossibilità di vita autonoma del feto, e cioè se non ha raggiunto un
grado di maturità tale da consentirgli, una volta estratto dal grembo
materno, di completare il suo processo di formazione. Mentre infatti la
legge statale 194 non fissa un termine oltre il quale presumere che il
feto sia in grado di condurre vita autonoma, e lascia che ad accertarlo
siano caso per caso i medici, Le linee guida della Lombardia, inoltre,
nell'ammettere l'aborto terapeutico quando una
patologia può arrecare gravi pericoli alla salute fisica o psichica
della madre, imponevano che l'accertamento dei gravi motivi psichici
dovesse avvenire con la consulenza dello psicologo/psichiatra, e che
nella consulenza alla donna il ginecologo dovesse avvalersi di altri
specialisti. Ma anche qui il Tar rileva il contrasto con «il legislatore
nazionale» della 194 che «ha riposto piena fiducia nella capacità di
valutazione dell'ostetrico-ginecologo, anche con riferimento alla
capacità di valutare i propri limiti conoscitivi, lasciando che sia tale
specialista a dover decidere se avvalersi o meno dell'ausilio di altri
medici». Il Tar dichiara perciò «l'illegittimità di
tutta la disciplina impartita dalla Regione, avente
carattere inscindibile e unitario, e per tale ragione non suscettibile
di essere annullata solo parzialmente». Cadono, dunque, anche le
disposizioni regionali che imponevano che il certificato medico che
diagnosticava i gravi pericoli alla salute della donna fosse redatto da
almeno due ginecologi, e firmato dal dirigente della struttura per presa
visione. Niente più istituzione di un registro regionale dove la
diagnosi prenatale fosse confrontata con l'accertamento sul feto
abortito. E stop all'indicazione di presa in carico, da parte dei
servizi sanitari, non solo della donna che chiedeva di abortire ma anche
della coppia e della famiglia. Luigi Ferrarella
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