A Novi di Modena si è spezzata la
legge del clan patriarcale
La
moglie uccisa a colpi di mattone, la figlia ridotta in
fin di vita dal fratello a randellate. E’ accaduto a
Novi di Modena il 3 ottobre, un episodio tragico che
ricorda quello di Hina, la ragazza pachistana uccisa dal
padre quattro anni fa perché aveva assunto un costume di
vita troppo occidentale.
Anche Nosheen, come Hina, non voleva essere rinchiusa
all’interno delle mura della comunità di origine dove il
patriarcato regnante, negando ogni diritto alla sua
soggettività, voleva imporle un matrimonio combinato.
Ma in questo secondo caso c’è una differenza
fondamentale: se nel caso di Hina la madre, col suo
silenzio, aveva indirettamente sostenuto l’autorità
maschile e la tradizione familiare, a Novi la madre
appoggiava la figlia, anzi aveva informato i carabinieri
delle violenze del marito, anche se non si era spinta a
denunciarlo.
Perché se è difficile per una donna italiana spezzare i
legami familiari, questa decisione è ancora più
difficile per una straniera, costretta anche a rompere
con la comunità di origine che le offre identità in un
paese ostile, ammalato di pregiudizi, talora apertamente
xenofobo.
È vero, la legislazione italiana è arretrata su questa
problematica, ma lo strumento più efficace per vincere
il patriarcato e la ginofobia (prima fonte della
violenza contro le donne), è la convivenza fra i diversi
gruppi etnici e religiosi.
Perché solo l’interazione abituale fra mondi lontani può
portare col tempo all’affermazione di una cultura
intrisa di quel rispetto per i diritti che l’evoluzione
della specie ha faticosamente elaborato.
Stefania Friggeri