Il
disegno di legge 1167/B rende il
lavoratore ostaggio del suo
datore di lavoro.
Appello dei giuristi del
lavoro perché non passi
«Il disegno
di legge n. 1167-B, in corso di
esame al Senato della
Repubblica, tende a realizzare,
attraverso alcune sue
disposizioni (artt. 30-32), una
vera e propria controriforma del
diritto del lavoro, altrettanto
grave ed incisiva di quella
portata a termine con la legge
n. 30/2003 ed il D. Lgs. n.
276/2003. Nonostante la rubrica
del disegno di legge faccia
riferimento alle "controversie
di lavoro", il testo introduce
delle modifiche che, in verità,
vanno al di là della disciplina
meramente processuale, mirando a
destrutturare la stessa
effettività dei diritti dei
lavoratori. In buona sostanza il
Governo, pur omettendo di
intervenire direttamente
sull'articolo 18 dello Statuto
dei lavoratori e di procedere
ulteriormente nel percorso di
precarizzazione dei rapporti
contrattuali, mira tuttavia a
svuotare dall'interno l'impianto
normativo di tutela dei
lavoratori: il risultato, in
linea con i precetti cardine del
"Libro bianco", è quello di
lasciare il lavoratore ancora
più solo nella "libera" dinamica
dei rapporti di forza con il
datore di lavoro, cui viene
attribuita la facoltà di deroghe
peggiorative rispetto a leggi e
contratti collettivi.
Da questo punto di vista, la
norma "manifesto", il cui
contenuto può essere considerato
a ragion veduta assolutamente
"eversivo" rispetto all'intero
ordinamento giuslavoristico, è
il comma 9 dell'art. 31, laddove
prevede la devoluzione
all'arbitrato delle controversie
insorte in relazione ai
contratti di lavoro certificati
dalle apposite commissioni, così
sottraendo, in una molteplicità
di casi, la tutela dei diritti
dei lavoratori alla
giurisdizione ordinaria, nel cui
ambito la specializzazione del
giudice del lavoro era stata da
sempre considerata un valore
primario. Per di più questa
disposizione, per un verso,
consente che gli arbitri
decidano secondo equità (ossia
senza il doveroso rispetto di
leggi e contratti collettivi) e,
per altro verso, stabilisce che
la clausola compromissoria possa
essere inserita anche all'atto
della stipulazione del contratto
individuale di lavoro (sia pur
certificato), vale a dire nel
momento in cui è evidentemente
più debole la posizione del
lavoratore che aspiri
all'occupazione. D'altra parte
il giudice, anche qualora
dovesse continuare residualmente
a svolgere la propria funzione,
vedrebbe depotenziati i propri
poteri in quanto limitati al
solo "accertamento del
presupposto di legittimità" dei
provvedimenti datoriali,
escludendo quindi in radice ogni
indagine sulla ragionevolezza
degli stessi. Inoltre, in una
materia particolarmente delicata
come quella dei licenziamenti,
il giudice potrà sentirsi
condizionato nella sua
autonomia, dovendo egli tener
conto delle nozioni di giusta
causa e giustificato motivo
espresse dalle parti in sede di
certificazione; nozioni che,
qualora fossero definite nel
contratto di assunzione,
finirebbero per capovolgere i
fondamenti del diritto del
lavoro, nato per tutelare il
contraente debole nel rapporto
di lavoro. Il disegno di legge
n. 1167-B contiene, inoltre, una
discutibile ridefinizione dei
termini per l'impugnazione dei
licenziamenti, dei contratti di
collaborazione e dei contratti a
termine, rendendo assai
difficile al lavoratore la
tutela giurisdizionale dei
propri diritti (art. 32). Se a
tutto ciò si aggiunge che nella
legge finanziaria 2010 è stata
prevista una vera e propria
"gabella" per il caso in cui il
lavoratore voglia far valere i
propri diritti davanti alla
Corte di Cassazione (un
contributo che potrà raggiungere
i 500 euro), appare ancor più
urgente e necessaria una presa
di posizione netta e precisa di
fronte a questa serie di
provvedimenti che minano alla
radice l'ispirazione
costituzionale del nostro
diritto del lavoro.»