Campania, chernobyl chimica
Ancora una volta i rifiuti urbani di Napoli vengono identificati con l'emergenza regionale mentre, in realtà, sono solo il sintomo di una malattia che è stata lasciata aggravarsi per 15 anni e che ora sta entrando nella fase terminale. Insomma, i sacchetti sono in strada perché le discariche più o meno legali situate in tutta la Regione sono state riempite di rifiuti tossici, come ha scoperto lo stesso De Gennaro, mentre il "rischio sanitario" di cui parlano i medici di Napoli, per la provincia è già una certezza. Si tratta, secondo Donato Ceglie, magistrato della Procura di Santa Maria Capua Venere, di una vera e propria Chernobyl chimica provocata dai rifiuti che sono stati seppelliti, abbandonati o semplicemente sparsi nei campi della Regione un tempo più fertile d'Italia. Fanghi velenosi, ceneri, scorie di alluminio e di amianto e poi cromo, rame, zinco e cadmio, tutta roba notoriamente cancerogena che sta provocando la catastrofe sanitaria descritta tre anni fa dalla rivista specializzata Lancet Oncology: malformazioni neonatali, tumori, danni al sistema cardio-circolatorio e malattie neuro-degenerative con incidenze sconosciute nei paesi industrializzati.
Tutto scritto e tutto noto da anni, anzi, da decenni. Quando, negli anni Ottanta, la Germania abbracciò con decisione la sua politica di riciclaggio dei rifiuti, anche dalle nostre parti qualcuno stava prendendo decisioni lungimiranti: le organizzazioni criminali intuirono le potenzialità del business e fecero sapere ai piccoli e grandi imprenditori, soprattutto del Nord, che avrebbero risparmiato parecchio affidando a loro i fastidiosi problemi di smaltimento dei residui industriali. Ottima idea perché il traffico dei rifiuti tossici ha il "vantaggio" di trasformare rapidamente le vittime in complici: se ti contaminano la falda con cui irrighi le tue produzioni pregiate puoi solo tacere per paura di perdere il mercato. E alla fine, quando, gli stracci cominciano a volare, non ti resta che "riconvertire" i tuoi terreni in una discarica illegale. Meccanismo perfetto che solo un tessuto politico sano avrebbe potuto disinnescare.
Quel che ha fatto il tessuto politico, invece, è arcinoto. In 15 anni, quattro commissari straordinari e una serie di giunte di destra e di sinistra, la geniale strategia inaugurata dalla giunta Rastrelli (An) non è cambiata di una virgola: al pubblico, cioè ai Comuni, la costosa raccolta mentre ai privati la redditizia partita dello smaltimento. Anzi, in realtà, a un solo privato: la Fibe del gruppo Impregilo, incaricata con una dubbia gara d'appalto di costruire e gestire tre inceneritori e cinque impianti di trattamento in quel di Acerra, comune con la più alta incidenza di tumori di tutta Europa.
Del resto nei 35 comuni che interessano le province di Caserta e Napoli ci sono un migliaio di discariche abusive, tutte ben note alla Direzione investigativa antimafia che, da qualche anno, compila un rapporto dedicato a questo business. Inchieste, incriminazioni e sequestri non sono riuscite ad arginare un giro d'affari che, secondo il Rapporto Ecomafia 2005 stilato da Legambiente, per un singolo trafficante può fruttare fino a venticinquemila euro al giorno, cioè un milione e mezzo di euro al mese intascati a spese del territorio, della salute dei cittadini e della legalità. Infatti, secondo il rapporto della Dia dello stesso anno «sono state riscontrate operazioni illegali nelle varie fasi del ciclo: dal trasferimento iniziale dal produttore alle imprese specializzate nella gestione dei rifiuti, al trasporto e stoccaggio, fino al trattamento, riciclaggio e smaltimento».
Di fatto, dal commissariamento deciso nel '94, la situazione non ha fatto che peggiorare. Malgrado siano stati improntati tutti sull'emergenza, esattamente come la demenziale decisione di aprire una discarica nell'oasi naturalistica di Serre, gli atti amministrativi non sono approdati a nulla. Eppure dal 1997 al 1998 il Ministero dell'Interno ha favorito l'istallazione degli inceneritori ad Acerra e Santa Maria la Fossa autorizzando la deroga alle procedure ordinarie di valutazione dell'impatto ambientale - cioè rendendo legale l'illegalità per decreto.
Nel 1998 la Fibe vinse l'appalto e, malgrado le critiche e l'opposizione di molte forze politiche che facevano parte della giunta regionale, l'allora commissario straordinario Bassolino nel 2000 sottoscrisse il contratto. Da allora sono stati accumulati svariati milioni di tonnellate di "ecoballe" che poi, nel 2005, sono risultate non adatte all'incenerimento.
Sabina Morandi (Fonte: Liberazione.it)