di Curzio Maltese (La Repubblica,
25 giugno 2007)
C'E' CHI in Italia è abituato a ottenere privilegi da qualsiasi
governo e autorizzato a non pagare il fisco, ma sul quale nessuno
osa moraleggiare. Pena l'accusa di anticlericalismo. L'anomalo
rapporto fra Stato italiano e clero è invece finito da tempo sul
tavolo dell'Unione europea, che si prepara a mettere sotto processo
il nostro Paese per i vantaggi fiscali concessi alla Chiesa
cattolica, contrari alle norme comunitarie sulla concorrenza. Oltre
che alla Costituzione, meno di moda. Al centro del caso è
l'esenzione del pagamento dell'Ici per le attività commerciali della
Chiesa. La storia è vecchia ed è tipicamente italiana.
Varato nel '92, bocciato da una sentenza della Consulta nel 2004,
resuscitato da un miracolo di Berlusconi con decreto del 2005,
quindi decaduto e ancora recuperato dalla Finanziaria 2006 come
omaggio elettorale, il regalo dell'Ici alla Chiesa è stato in teoria
abolito dai decreti Bersani dell'anno scorso.
Molto in teoria, però. Di fatto gli enti ecclesiastici (e le onlus)
continuano a non pagare l'Ici sugli immobili commerciali, grazie a
un gesuitico cavillo introdotto nel decreto governativo e votato da
una larghissima maggioranza, contro la resistenza laica di un
drappello di mazziniani radicali guidati dall'onorevole Maurizio
Turco.
I resistenti laici avevano proposto di limitare l'esenzione dell'Ici
ai soli luoghi senza fini commerciali come chiese, santuari, sedi di
diocesi e parrocchie, biblioteche e centri di accoglienza. Il
cavillo bipartisan ha invece esteso il privilegio a tutte le
attività "non esclusivamente commerciali".
Basta insomma trovare una cappella votiva nei paraggi di un
cinema, un centro vacanze, un negozio, un ristorante, un
albergo, e l'Ici non si paga più. In questo modo la Chiesa
cattolica versa soltanto il 5 o 10 per cento del dovuto allo
Stato italiano con una perdita per l'erario di almeno 400
milioni di euro ogni anno, senza contare gli arretrati.
Il trucco o se vogliamo la furbata degli italiani non è
piaciuta a Bruxelles, da dove è partita una nuova richiesta
di spiegazioni al governo. Il ministero dell'Economia ha
rassicurato l'Ue circa l'inequivocabilità delle norme
approvate, ma subito dopo ha varato una commissione interna
di studio per chiarirsi le idee.
L'affannosa contraddizione è stata segnalata all'autorità
europea dall'avvocato Alessandro Nucara, esperto in diritto
comunitario, e dal commercialista Carlo Pontesilli, due
professionisti di simpatie radicali che affiancano e
assistono il drappello dell'orgoglio laico.
A questo punto la commissione per la concorrenza europea
avrebbe deciso di riesumare la pratica d'infrazione già
aperta ai tempi del governo Berlusconi e poi archiviata dopo
l'approvazione dei decreti Bersani. In più, la commissione
ha chiesto al governo Prodi di fornire un quadro generale
dei favori fiscali che l'Italia concede alla Chiesa
cattolica, oltre all'esenzione Ici.
Che cosa potrà succedere ora? Un'infrazione in più o in meno
probabilmente non cambia molto. L'Italia dei monopoli, dei
privilegi e delle caste è già buona ultima in Europa per
l'applicazione delle norme sulla concorrenza e naviga in un
gruppo di nazioni africane per quanto riguarda la
trasparenza fiscale. Quale che sia la decisione dell'Ue, i
governi italiani, di destra e di sinistra, troveranno sempre
modi di garantire un paradiso fiscale assai poco mistico
alla Chiesa cattolica all'interno dei nostri confini. Magari
tagliando ancora sulla ricerca e sulla scuola pubblica.
E' triste constatare però che senza le pressioni di
Bruxelles e la lotta di una minoranza laicista indigena,
l'opinione pubblica non avrebbe neppure saputo che gli enti
religiosi continuano a non pagare l'Ici almeno al 90 per
cento. Nonostante l'Europa, la Costituzione, le mille
promesse di un ceto politico senza neppure il coraggio di
difendere le proprie scelte.
Nonostante le solenni dichiarazioni di Benedetto XVI e dei
vescovi all'epoca dei decreti Bersani: "Non ci interessano i
privilegi fiscali".
Nonostante infine siano passati duecento anni da Thomas
Jefferson ("nessuno può essere costretto a partecipare o a
contribuire pecuniariamente a qualsivoglia culto, edificio o
ministero religioso") e duemila dalla definitiva sentenza
del Vangelo: "Date a Cesare quel che è di Cesare".
(fonte:
www.repubblica.it )