La democrazia non ha prezzi
di Stefano
Rodotà *
La qualità
della politica e dei politici si misura nelle situazioni difficili. Grave è
sicuramente quel che è avvenuto sabato a Roma, e proprio per questo sarebbe
stato indispensabile, da parte di tutti, reagire senza emotività, senza cedere
alla tentazione di sfruttare la situazione per catturare qualche facile
consenso.
E senza proporre misure che poi, in concreto, possono rivelarsi pericolose e
pure scarsamente efficaci. Qualche memoria in questo senso dovremmo averla, a
cominciare da quella legge Reale così incautamente evocata. E dovremmo aver
capito, proprio perché abbiamo attraversato il dramma del terrorismo, che la
forza della democrazia sta nella capacità di utilizzare fermamente la legalità
ordinaria, senza precipitarsi ad invocare leggi eccezionali appena ci si trova
di fronte a qualche difficoltà. La fuga nella legislazione eccezionale è stata
troppe volte la via per apprestare alibi, per coprire inefficienze. Ed è stata
pagata assai cara, perché le istituzioni hanno presentato una inutile faccia
feroce, mentre tardavano nel mettere a punto le adeguate misure organizzative.
Scrivere una norma è facile. Ben più arduo, ma indispensabile, è proprio
predisporre strutture in grado di fronteggiare tempi mutati e difficili.
Il ministro
dell'Interno, Maroni è apparso dimentico di tutto questo, preso da una voglia
di fare che lo ha spinto a formulare proposte che, una volta di più, dimostrano
quanto sia debole nell'attuale ceto di Governo la cultura della Costituzione.
Rivelatrice è quella che vuole introdurre l'obbligo per gli organizzatori dei
cortei di fornire una garanzia economica per risarcire gli eventuali danni
arrecati da chi scende in piazza. Lasciamo da parte le enormi difficoltà
tecniche e pratiche di una garanzia del genere (ma chi diavolo sono i
consiglieri dei nostri governanti?). Consideriamo l'incidenza che essa avrebbe
su uno dei diritti politici fondamentali, quello di manifestare in pubblico.
Certo, questo deve avvenire “pacificamente e senza armi”, come vuole l'articolo
17 della Costituzione.
Ma è
arbitrario aggiungere a queste parole la formula “e avendo adeguata capacità
patrimoniale”. Un diritto fondamentale della persona diverrebbe così
appannaggio di chi può pagarselo. Stiamo per tornare ai tempi della
cittadinanza censitaria? Mai incostituzionalità è
apparsa tanto clamorosa.
Vi è poi un
bricolage di altre proposte specifiche, saltando dall'arresto in flagranza
differita, a nuovi reati associativi, all'estensione ai manifestanti delle
misure previste per i violenti nelle manifestazioni sportive (Daspo). Misure che dimostrano casualità e improvvisazione,
proprio quando sarebbero stati necessari freddezza e rigore. Mi limito qui a
ricordare la fatica con la quale la Corte costituzionale ha salvato il Daspo, e la possibilità di ritrovare nel fin troppo ricco
armamentario penalistico indicazioni per qualificare i comportamenti violenti
in modo tale da renderli concretamente perseguibili, senza tuttavia entrare nel
territorio minato del “tipo d'autore”, per cui si rischia di trasformare il
fatto di manifestare in comportamento criminoso.
La democrazia, dovremmo saperlo, è un regime difficile, dove la stessa salvezza
della Repubblica non può mai essere pagata con il sacrificio di diritti fondamentali.
Ma proprio qui sta la sua forza profonda, perché può opporre la sua fiducia
nella libertà anche a chi la nega. E così può sfuggire alla trappola nella
quale i violenti vorrebbero chiuderla: obbligarla a negare se stessa, per
divenire in tal modo più agevolmente attaccabile. Questo è il garantismo dei
tempi difficili, votato alla difesa dei principi e non strumentalizzato per la
difesa di interessi personali.
*la Repubblica, 19 ottobre 2011