Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno"

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Editoriale 06/2009


Senza laicità non c’è né libertà né giustizia


Il livello di democrazia si misura dalla tenuta della laicità di uno Stato. Ovvero sulla sua capacità di estensione delle libertà. Di trasformarle in diritti. Per ciascuno e per tutti. Un processo che in Italia sembra bloccato. Se non in retrocessione. Siamo infatti costretti a impegnare energie, non solo per l’affermazione dei diritti civili, ma per non far cancellare quelli che credevamo acquisiti. Siamo dovuti tornare a difendere maternità e paternità responsabili. A ribadire che il fondamento della democrazia è l’istruzione laica e plurale che solo la scuola statale può garantire. A rivendicare l’elementare diritto di essere proprietari della propria vita e il dovere individuale ad autodeterminarla in ogni momento e fase. A ricordare che le donne non sono le recluse degli stereotipi sessisti che alimentano discriminazione e violenza. A rammentare a chi specula sulle paure del problema immigrazione, che il razzismo non ha cittadinanza in un paese democratico. Ed ancora a tener viva l’attenzione sul fatto che la libertà dal bisogno è sempre più un miraggio per tanti, mentre le reti clientelari fanno affari d’oro sulla precarizzazione del lavoro, ricreando condizioni di vassallaggio medievale.
Nella grande piazza dello sbrilluccichio mediatico, chi osa parlare di libertà e giustizia sociale è visto con fastidio. Soprattutto se richiama alla razionalità e al buon senso. Scompiglia infatti le carte di chi gioca sugli antri più oscuri dell’animo, facendo leva sull’area emozionale del nostro cervello. Quella più arcaica e recondita. Assai estesa nel cervello del nostro antenato australopiteco, che preoccupato per la sua sopravvivenza, cercava protezione nel recinto dell’obbedienza al gruppo-clan. E in questo automatismo istintuale e violento escludeva quanto fosse altro da sé.
Poi l’umanità ha sviluppato il pensiero razionale-problematico, sottraendo sempre maggiori aree cerebrali alla pulsionalità, a tutto vantaggio della cognitività. E su questa strada si è data delle regole, fondando Stati di diritto e democrazie. Non certo per altruismo e bontà fini a se stessi, ma perché dalla guerra dei gruppi-clan sarebbe derivata la morte per tutti. E’ bene tenerlo presente! Quella che chiamiamo civiltà è prodotto del buon senso. Sulla strada della reciprocità di diritti e libertà. Patto sociale. Apertura all’altro. Consapevolezza che nessuno può imporre all’altro più di quanto questi non possa imporre a lui. Una pratica che si chiama laicità, e che richiede senso critico e responsabilità. Una strada che molti preferiscono aggirare ponendosi sotto la cappa di un qualche protettore, un capo che pensa e decide per tutti. Così finalmente ci si può liberare dal peso della fatica di capire, studiando. Di conoscere, riflettendo. Dal peso della responsabilità, che la gestione della libertà necessariamente comporta. E’ il meccanismo ben noto dei totalitarismi. Che non a caso fanno dell’uomo-massa il fine e il mezzo per costruire ed esercitare il consenso. Annullato nella massa-gruppo-clan, nessuno è più responsabile individualmente. E proprio perché il rimorso di aver svenduto la propria libertà neppure affiori, sviluppa una vera ossessione per l’ordine nella rigidità delle regole. Perché nell’obbedienza passiva è sollevato dal peso di doversi prendere la briga di affrontare la realtà in modo problematico. Di trovare soluzioni diverse e nuove. Ecco allora il trionfo dell’omologazione. E si vede con sospetto chi rivendica emancipazione dalla sudditanza delle coscienze ad un pensiero unico. Chi rivendica per sé e per ciascuno emancipazione dai padroni della politica e dell’economia, che per esercitare indisturbati il proprio potere hanno bisogno dei padroni dell’anima. Sono questi gli imbonitori, i giocolieri che alimentano la dipendenza e con essa la speranza di incontrare un papy che regali oro e smeraldi. Qui. O in altri immaginifici cieli.
Contro tutto questo noi continueremo con pacatezza e determinazione caparbia ad esercitare brunianamente il nostro impegno di individui liberi perché laici. A scuotere dal
torpore della mente che genera servilismo, convinti che la libertà di pensiero è il primo fondamentale diritto umano, per trasformare il pensiero in azione. Per sottrarre all’ingiustizia sempre più spicchi di esistenza: più libera e giusta.
Italo Calvino, ne Le città invisibili scriveva: “L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà, se ce n'è uno: è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne.
Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, dargli spazio”.


Maria Mantello

 

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