Libero Pensiero 12/2006
L’ASSOLUTO E IL RELATIVO
Il problema che divide gli uomini è sempre quello – antico – del relativo e
dell’assoluto. La mente umana pretende di stabilire come dato assoluto
quello che è soltanto una semplice esigenza legata alla sua condizione
provvisoria.
L’assoluto può essere la meta di ciascuno di noi, ma il suo raggiungimento è
precluso al nostro intelletto. La nostra capacità di comprensione è capace
di raggiungere la sola relatività. L’assoluto è qualcosa di infinito, al di
là delle nostre capacità di uomini, che sono limitate. Il nostro compito è
quello di progredire verso l’assoluto con la convinzione che – in questo
mondo – mai lo raggiungeremo.
Tutte le religioni ne parlano come se fosse di loro proprietà, e non si
accorgono di discutere di cosa fuori della loro portata.
Fin dal Medioevo i pensatori più attenti cercarono di mostrare questa verità
nel confrontare le varie religioni. Per esempio la celebre novella del
Boccaccio su Nathan l’ebreo e il Saladino, ripresa dal Lessing
nel 1700. Oppure Raimondo Lullo nel “Libro del gentile e dei tre sapienti”.
Nella novella del Boccaccio è il Saladino a porre all’ebreo la domanda
insidiosa: quale delle tre religioni (l’ebraica, la cristiana e la
musulmana) sia la vera. L’ebreo, per sottrarsi al rischio di una risposta
compromettente, fa ricorso ad un racconto, quello dei tre anelli
perfettamente identici lasciati da un padre morente ai tre figli come
segnale del diritto alla eredità… Vista l’eguaglianza dei tre anelli,
l’eredità verrà ripartita tra i tre figli. Così le tre religioni - ebraica,
musulmana e cristiana – in possesso di tre anelli eguali – sono tutte e tre
in diritto di proclamarsi eredi dell’assoluto.
In un suo articolo su La Repubblica Jean Daniel racconta invece la
versione di Raimondo Lullo (1232 – 1315). Nel “libro del gentile e dei
tre sapienti”, questo filosofo medievale immagina che un goy (gentile)
avvicinandosi alla morte, voglia conoscere il senso delle tre fedi che
andavano per la maggiore: la musulmana, la cristiana e l’ebraica. Chiama
esponenti delle tre religioni ai quali chiede chiarimenti. Usando argomenti
molto validi, i tre cercano di esporre i pregi della propria religione. E vi
riescono validamente. Vorrebbero però sapere chi di loro sia riuscito a
convincere il goy. A questo punto il rappresentante cristiano si oppone e
invita gli altri a non chiedere giudizi, in quanto la scelta di uno dei tre
avrebbe reso nemici i due restanti.
La conclusione di Jean Daniel è che in quel lontano momento di grazia la
convivenza fra le religioni sarebbe stata possibile solo nella umiltà
identitaria o in una sapiente alchimia capace di combinare “quanto vi è di
meglio in esse”.
Appare più logico attenersi a questo atteggiamento prudente scegliendo
ecletticamente il meglio, piuttosto che spingersi ardimentosamente a
considerare una religione più vera delle altre. Noi non siamo in grado di
vedere oltre la nostra esistenza e decidere chi abbia le chiavi della verità
eterna.
La relatività deve sempre essere alla base del nostro comportamento di
umiltà nei confronti di ciò che sarà.
Forse è opportuno far riferimento ad un altro racconto. Alcuni credenti di
varie religioni – assieme ad un gruppo di non credenti – si impegnano
nell’ascesa di un’alta montagna, chi da un lato, chi dall’altro. Tutti sono
convinti che il profilo della cima della montagna da loro osservato sia
l’unico possibile e tale da dischiudere il vero assoluto. Se avessero la
possibilità di osservare da altri punti di vista, si accorgerebbero del loro
errore.
È questa la dimostrazione pratica del relativismo: ogni affermazione
assoluta non corrisponde alla nostra capacità di comprensione. Dobbiamo con
umiltà riconoscere di non essere in possesso di alcuna verità definitiva. “Noi
non sappiamo ciò che saremo” dice Giovanni nelle sue epistole. Può darsi
che nell’infinito che ci attende in futuro, saremo in grado di raggiungere
una condizione di sapienza tale da colmare la nostra conoscenza imperfetta.
Ora non ci è dato. Il resto? Il resto è pura consolazione soggettiva a cui,
a seconda della personale sensibilità, ciascuno di noi ha diritto.
Paolo T.
Angeleri