Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno"

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ARTICOLI

Rappresentati a teatro i dialoghi di Giordano Bruno

Libero Pensiero 12/2005

 

di Maria Mantello

 

Il Teatro stabile dell’Umbria ha realizzato per la prima volta un’interessante messa in scena del primo dei dialoghi italiani di Giordano Bruno, la Cena delle Ceneri.

Lo spettacolo mette a fuoco un nucleo fondamentale del pensiero bruniano: l’infinità del cosmo, prodotto dell’infinito divenire della Natura. Un tema che Bruno inizia ad elaborare sistematicamente,  a partire da questo dialogo, scritto a Londra nel 1584.

La vera protagonista è la natura. Perfetta, quindi divina di per se stessa: Materia Unica ed Eterna, in grado di partorire dal suo grembo le infinite forme (i fenomeni). E’ questa verità che Bruno ha compreso. E chiama ognuno a coglierla con la luce della ragione. Un percorso ed una ricerca, sottolineata dalla regia di Antonio Latella, non solo nei dialoghi (il testo è un libero adattamento di Federico Bellini, che attinge anche ad altri scritti di Bruno, come il De la Causa principio et uno e lo Spaccio della bestia trionfante, entrambi del 1584), ma resa soprattutto vivisivamente da un significativo gioco prospettico di specchi e duplicazioni di personaggi. Questi sono interpretati dai bravissimi Danilo Nigrelli, Marco Foschi, Fabio Pasquini e Annibale Pavone. Sono loro che danno corpo e voce all’affabulazione.

Lo spettatore è coinvolto nel faticoso percorso della ricerca bruniana, che spezza i recinti del già definito, che fa dell’eliocentrismo una rivoluzionaria filosofia, con cui mettere in discussione ogni cosa. Se la terra gira, finalmente girano tutte le cose che in terra stanno. Allora, tutto va ridefinito. Non c’è più nessuna storia sacra, nessun apparato di potere sacro. Non ci sono più confini. Non c’è più differenza tra cielo e terra! C’è solo la Natura-materia-madre. E l’umanità chiamata a conoscere e a progettare autonomamente la sua storia: ad agire nell’operante natura. Ognuno può e deve uscire dallo stato di soggezione asinina dell’obbedienza al dogma. La filosofia rivoluzionaria di Giordano Bruno smaschera, mette a nudo la pedanteria e l’asinità fideistica. E’ un processo di conquista reso efficacemente nella scena teatrale da una sapiente scenografia, che sottolinea brunianamente la “corporale” vitalità del divenire. Gli spettatori stanno appena entrando in sala… ma già qualcosa si muove, diviene: i quatto attori sono davanti al sipario chiuso. E come ginnasti  si esercitano all’interno di un proprio specchio delimitato da luci. Chiusi ciascuno nel proprio ruolo, proiezione di nudi pupazzi di stoffa a cui si legano. Andare oltre la scorza delle cose, diceva Bruno, per cogliere il divenire, la trasformazione. Ecco allora, che i pupazzi sono lasciati sugli specchi. Si apre dietro gli attori il sipario. Essi varcano la soglia “dell’aere turbolento” ed entrano nella metaforica sala del convito: ma è uno specchio d’acqua. Recitano, mentre camminano su acqua vera (“le acque inferiori del nostro globo, e acque superiori che son quelle degli altri altri globi”). La dimensione spazio temporale sembra già essere superata per proiettarsi nell’infinito cosmo bruniano. Questa è la verità che l’intelletto deve cogliere, dice Teofilo-Bruno. E va cercata nella triade del pensiero, della parola e del significato. Insomma nella capacità, tutta umana di scoprire e svelare l’eterna forza della mutazione e del rinnovamento. Di pensare caratterizzare e definire l’essere. Con eroico furore, divenendo ognuno dio a se stesso. Fatto inconcepibile per la Chiesa cattolica, che sulla terra ha edificato tutta la sua storia sacra. Proprio quella che la nolana filosofia mette in crisi. E’ lo scontro col potere dominante. Ecco allora che lo spettatore vede Bruno varcare un sipario che non si apre. E’ la notte della non verità che condanna Bruno al rogo. Ma che prima lo vuole ridicolizzare (scenicamente al filosofo è messo in testa il cappello a cono dei folli e regge una sbarra con appesi i pupazzi in miniatura: gli stereotipi del replicante uomo del dogma).

Per Bruno è la morte.

Ma è solo altra mutazione, perché niente si annichila. Ecco allora sullo sfondo dell’ultimo sipario, stagliarsi la scena della materia vivente. Della nascita di una nuova vita. Il rosso-sangue, diviene vagito. Lo spettatore è colpito dai giochi suggestivi di luci e musiche, mentre sulla scena, gli attori riprendono i loro esercizi ginnici, si muovono ora liberamente, a piedi nudi nel grande specchio dell’acqua. Come bimbi piccolissimi sono alla ricerca del loro faticoso individuale  divenire umano. Si commisurano con la propria corporalità nella gestione di primordiali gesti e suoni. E’ la rigenerazione, la nuova vita dell’uomo nuovo. La riforma bruniana ha vinto.

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